Non erano pochi, in Italia, ad ipotizzare – con un contesto interno e internazionale sempre più fluido e complicato – una crisi di governo. C’era una sessione di bilancio da affrontare con un Pnrr appena avviato, un pauroso aumento dei costi dell’energia con cui fare i conti, un’inflazione tornata a due cifre e una guerra che, oltre a tenere tutti con il fiato sospeso, annunciava gravi ripercussioni sull’economia. Per non parlare dei problemi di sempre, quali – per citarne alcuni – il lavoro che c’è e non c’è, la disoccupazione, i giovani divisi tra chi sceglie di emigrare e chi non studia né cerca lavoro. Invece, nonostante un governo sostenuto dalla quasi totalità delle forze politiche presenti in Parlamento, la crisi non solo non è stata evitata, ma è stata addirittura cercata e agevolata. E così, senza neanche dare il tempo al presidente della Repubblica di finire di apporre la propria firma al decreto di scioglimento delle Camere, la macchina elettorale ha posto fine al rullare dei motori da tempo avviati per mettersi subito in movimento.
Che le elezioni fossero attese è dimostrato dal tono assunto sin da subito della campagna elettorale, dominata dall’impegno a non lasciare nulla di intentato. Si spiega così il tono delle prime battute concentrate, più che sulle analisi, sulle promesse – dalle pensioni minime a mille euro alla flat tax per tutti; dall’abolizione della legge Fornero al taglio dell’Irap; dalla riduzione dei costi del lavoro alla creazione di un milione di posti di lavoro; dalla rottamazione delle cartelle all’accredito delle spese detraibili direttamente sul conto corrente; da nuovi interventi a sostegno di famiglie e imprese alla scuola dell’infanzia gratuita e obbligatoria.
Un grande fervore che tutti hanno alimentato attraverso una irrefrenabile gara a chi la sparava più grossa. Ma non è finita, visto che la stessa voglia di stupire ha animato lo spirito con cui i vari partiti si sono dedicati compilazione delle liste. Un impegno non indifferente, questo, che, tra fibrillazioni e sorprese, non ha privato di nulla: dalle conferme più o meno scontate alle esclusioni clamorose; dalle rinunce polemiche ai ritorni annunciati; dalle alleanze abortite a quelle composte e ricomposte; dal piazzamento in un collegio “sicuro” ai numerosi “paracadute” lanciati qua e là su tutta l’Italia (isole comprese). Un’opera certosina condotta con fantasia e inventiva, senza trascurare calcoli, somme e percentuali.
Dopo le sparate iniziali, ci saremmo aspettati qualcosa di più serio e costruttivo, invece abbiamo dovuto sorbirci la solita politica urlata, tesa esclusivamente alla denigrazione dell’avversario cui il clima da campagna elettorale permanente ci ha da tempo abituati. Ci saremmo aspettati che gli annunci ad effetto cedessero il passo alle analisi e ai ragionamenti. Ci sarebbe piaciuto capire con quali risorse sarebbero state finanziate le novità da tutti annunciate. Ci è stato sempre detto che le tasse servono ad assicurare i servizi e a migliorare la vita del Paese: come si farà ad assicurare servizi e investimenti se molte tasse verranno tagliate e altre verranno ridotte? E che fine farà il debito pubblico, per miracolo scomparso dai radar del dibattito politico? Intanto domenica si vota e, mentre da più parti non si fa mistero degli esiti pressoché scontati e plebiscitari, bisogna fare i conti con la reazione di quel Paese reale sempre più distante dal Paese legale che manifesta sfiducia nei confronti della politica attraverso il disinteresse e la protesta che nascono dalla delusione. Atteggiamenti, questi, cui si deve quell’astensionismo cui potrebbero dare una grossa mano i numerosi indecisi. Il rischio che si corre è quello della rappresentatività, visto che un astensionismo molto elevato non solo sminuirebbe l’autorevolezza dello schieramento che atterrebbe la maggioranza su un numero di votanti lontano dagli aventi diritto, ma indebolirebbe alche la minoranza, con effetti non trascurabili sulla dialettica cui si deve la sintesi dopo il confronto, lo scontro, la mediazione e il compromesso.
Non è da escludere che alla fine ci saranno coloro che, o per esercitare il diritto-dovere sancito dalla Costituzione o per un rigurgito di voglia di partecipazione, desisteranno dall’iniziale proposito di disertare le urne e si recheranno al seggio, ma il problema rimarrà irrisolto. Toccherà ai partiti affrontarlo, sperando che non commettano errori. Infatti sbaglieranno se, invece di interrogarsi sulle cause, continueranno, come purtroppo hanno fatto finora, a sottovalutare il fenomeno e a liquidarlo come esempio di qualunquismo o come trionfo dell’antipolitica.
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