Diciotto anni fa Cosa nostra uccideva il penalista catanese. Goffredo D'Antona, suo amico, racconta gli attimi terribili successivi all'omicidio, e ne dipinge un ritratto. «Il processo lo studiava dalla relata di notifica al timbro del cancelliere», spiega. E si chiede perché, nonostante un'aula nel Tribunale etneo a lui dedicata, la memoria del suo operato si perda
Serafino Famà, il ricordo di un collega D’Antona: «Era una persona normale»
È una sera come tante di un primo autunno. È arrivato il primo freddo. Sono a casa di un amico. Anzi a casa dei genitori di un amico (a quel tempo quasi nessuno era spostato e si viveva ancora a casa di mamma e papà). Guardiamo in tv la trasmissione di Santoro, non ricordo come si chiamasse all’ora. Si parla di mafia e di pentiti. È il 9 novembre del 1995. Santoro interrompe i dialoganduellanti. Per dare una notizia da Catania: lavvocato Serafino Famà difensore di Piddu Madonia, del Malpassotu…
A questo punto dilato il tempo. Mi immagino che l’Avvocato abbia chiamato in trasmissione per dire la sua. È sempre il solito. Ora mi immagino di sentire la sua voce litigare con tutti i presenti, Santoro, Claudio Fava, i cameramen. Ma il tempo si può dilatare quanto si quanto si vuole ma poi si arriva sempre a un punto. E il punto è che… è stato ucciso pochi minuti fa, in un agguato, a colpi di pistola. Guardo lorologio lho lasciato in studio con un altro avvocato 15 minuti prima. Non è possibile. E invece. No.
Quando è stato ucciso era nella piena maturità professionale. Eravamo dieci in studio. E non avevamo tempo per annoiarci. Provo tristezza a cercar di parlar dell’Avvocato con chi non lha mai conosciuto. A volte mi sembra impossibile che il Palazzo non abbia memoria di una persona così. Gli è stata dedicata unaula di corte di assise. Ma oggi tutti la chiamano aula Famà. Senza premettere quelle tre lettere di avv. Molti oggi parlano di quell’aula senza neanche sapere chi fosse lavvocato Famà. Come quell’aula (Condorelli) di Villa Cerami. Un conto è dire piazza Falcone e Borsellino altro e parlare di un’aula Famà. C’è pure una lapide ricordo in Tribunale. E la memoria si perde.
In questo sfogo è impossibile descrivere lAvvocato. Alcuni tratti però possono essere detti. Ogni sei mesi comprava un codice nuovo. Sulla sua scrivania, cera sempre un libro che tutti gli avvocati dovrebbero leggere, Elogio dei Giudici Il processo lo studiava dalla relata di notifica al timbro del cancelliere. Quando aveva finito le sue udienza camminava nel corridoio del Tribunale si sceglieva un aula e si metteva seduto ad ascoltare gli altri, perché cè sempre da imparare nell’ascolto.
A volte si incazzava. Quando vedeva avvocati maleducati ed impreparati. Quando vedeva un ragazzino seduto in prima fila ed un avvocato anziano in piedi. Sto parlando di una persona normale. Ma oggi forse la normalità è merce rara.
P.S. Era juventino. Nessuno è perfetto.
Goffredo D’Antona
[Foto tratta dall’evento Facebook “Commemorazione dell’avvocato Serafino Famà“]