Antonio Maira è considerato un personaggio di primo piano nel panorama criminale della provincia agrigentina. Negli anni '80 era stato il giudice, ucciso dalla mafia e proclamato beato domenica scorsa, a rappresentare l'accusa in un processo
Sequestro da 400mila euro a un boss della Stidda Il pm Rosario Livatino l’aveva già fatto condannare
Beni per un valore di circa 400mila euro sono stati sequestrati dal personale della sezione misure di prevenzione patrimoniali della questura di Agrigento ai fratelli Antonio e Giuseppe Maira, rispettivamente di 71 e 65 anni, di Canicattì. In particolare, gli investigatori hanno sottolineato che il maggiore dei due fratelli, Antonio, è stato un personaggio di primo piano nel panorama criminale della provincia agrigentina.
Negli anni ’80 come appartenente alla Stidda ha anche subito diverse condanne, tra cui quella più pesante che gli era stata inflitta in un processo dove la pubblica accusa era sostenuta dall’allora giovane pm Rosario Livatino, il giudice proclamato beato domenica scorsa dopo essere stato ucciso nel settembre del 1990 da quattro killer mafiosi. Secondo diversi collaboratori di giustizia, il giudice sarebbe stato assassinato proprio perché aveva inflitto forti condanne ad affiliati della Stidda, tra cui appunto Antonio Maira che, nel 1896, era stato condannato dal tribunale di Agrigento a 22 anni e mezzo di reclusione, pena poi ridotta in appello a 17 anni e sei mesi.
Nel dicembre 2019, i due fratelli sono stati fermati dalla polizia di Canicattì. Le indagini, suffragate anche dalle dichiarazioni di alcune vittime, fecero emergere che i due sarebbero stati responsabili di usura nei confronti di piccoli imprenditori in difficoltà, cui chiedevano tassi di interesse del 120 per cento annuo a fronte di somme prestate. Per questi fatti, in abbreviato, i due sono stati condannati a quattro anni di reclusione Antonio e a cinque anni Giuseppe. Concluse le investigazioni della squadra mobile e dei carabinieri, l’indagine è passata agli specialisti delle indagini patrimoniali.
I poliziotti hanno iniziato a scavare nei flussi finanziari dei due indagati, a partire dal 2000, e hanno rilevato la sperequazione tra le esigue somme di denaro di provenienza lecita e gli investimenti immobili e mobiliari, individuando abitazioni e botteghe tra Canicattì e Caltanissetta. Immobili che sono stati ritenuti il reimpiego di capitali illeciti. Adesso, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo ha disposto i sequestri finalizzati alla confisca. Si tratta di cinque appartamenti con relative pertinenze, tre magazzini, depositi bancari intestati anche ai familiari (19 rapporti bancari/finanziari per la precisione) e un’auto Audi Q3. Un patrimonio stimato in circa 400mila euro.