Con una richiesta urgente, sono scattati i sigilli per un conto bancario riconducibile all'imprenditore etneo, editore e direttore del quotidiano La Sicilia, attraverso una società fiduciaria in Liechtenstein. Il tutto due giorni prima dell'udienza preliminare per valutare la consistenza dell'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa
Sequestro antimafia da 17 milioni a Mario Ciancio Stava per trasferire i soldi dalla Svizzera all’Italia
Un sequestro antimafia da 17 milioni di euro. Solo una parte del tesoretto di 52 milioni di euro scoperto in Svizzera a nome dell’imprenditore etneo, editore e direttore del quotidiano La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo. I sigilli sono scattati ieri, quando i magistrati hanno scoperto che il valore dei titoli stava per essere convertito in denaro, da trasferire in Italia. Il tutto due giorni prima dell’udienza preliminare per valutare la consistenza dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a carico di uno degli uomini più potenti di Catania.
I sigilli sono scattati per un conto bancario estero riconducibile a Ciancio ma aperto tramite una società fiduciaria del Liechtenstein. La procura ha stimato l’esistenza di titoli e azioni per un totale di circa 12 milioni di euro. Più cinque milioni in contanti, depositati in una banca di Catania. Scavando tra i rapporti bancari e il patrimonio dell’imprenditore, i magistrati hanno trovato diversi depositi in Svizzera – alcuni a lui riconducibili attraverso società registrate nei paradisi fiscali -, e movimenti adesso al vaglio dei consulenti della procura, la multinazionale Price Waterhouse Coopers spa. L’accurata indagine finanziaria, in un primo sottovalutata, era stata richiesta in modo specifico dal gip Luigi Barone come supplemento di indagine, quando lo stesso giudice ha respinto la prima richiesta dei magistrati di archiviare l’accusa nei confronti dell’imprenditore.
Al centro dell’indagine nei confronti di Ciancio, la sua presunta vicinanza a Cosa nostra. Rapporti personali, secondo la procura, espressi anche attraverso alcune scelte del quotidiano La Sicilia – per diverso tempo monopolista a Catania -, e non solo. Sullo sfondo, il business dell’imprenditore. Che ha molto a che vedere con diversi centri commerciali etnei. A parlarne per primo è il collaboratore di giustizia Antonino Giuliano che racconta di un affare in corso nel 2005 tra alcuni imprenditori messinesi e Ciancio per la costruzione di un centro commerciale «nei territori limitrofi la tangenziale di Catania, direzione Siracusa, nei pressi del distributore Ip». Da realizzarsi anche con somme di denaro provenienti da Cosa nostra. La maggior parte dei contatti di Ciancio si svolgono con Antonello Giostra, di Scaletta Zanclea, nel Messinese, un personaggio già noto alle forze dell’ordine. Insieme i due parlano di centri commerciali e del progetto Pua alla Playa di Catania. Intercettato nel 2002, Giostra racconta di avere a Catania progetti per oltre mille miliardi di lire, che Ciancio stava scommettendo su di lui e «che gli ha reso un patrimonio legale».
Il racconto di Giuliano si riferisce alla costruzione di un centro commerciale a Misterbianco – vicino a quello che sarebbe poi diventato il Centro Sicilia, sotto indagine nel processo antimafia Iblis -, e per la quale Ciancio compra dei terreni dal valore di diversi milioni di euro in contrada Cardinale. La coincidenza di progetti nella stessa area avrebbe visto Cosa nostra, secondo il giudice Barone, costretta a rallentare per fare spazio all’affare dell’editore de La Sicilia. Poi mai realizzato, così come il cosiddetto villaggio degli americani, un residence per militari statunitensi di base a Sigonella da costruire a fine 2004 a Lentini, in località Xirumi-Cappellina-Tirirò. Completati, invece, e al centro dell’indagine, sono l’Outlet Sicilia Fashion Village ad Agira e soprattutto il centro commerciale Porte di Catania.
In quest’ultimo caso, a spingere il giudice a rigettare la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura erano stati i soggetti che ruotavano attorno alla Icom srl, società che si è occupata dell’affare: politici, personaggi vicini a Ciancio e poi Tommaso Mercadante, «nipote di Tommaso Cannella, storico boss di Prizzi», nel Palermitano, e figlio del primario di radiologia e politico regionale Giovanni Mercadante, con alterne vicende giudiziarie per mafia. Sarebbe stato lui a fare da cerniera tra i soci e Cosa nostra. Ed è alla Icom che Ciancio e la moglie vendono per 13 milioni di euro alcuni dei terreni – una costante negli affari dell’imprenditore – su cui si è costruito il centro. Per poi entrare nella compagine societaria, prima che venisse interamente girata alla multinazionale Auchan. Tutti esempi che, secondo l’allora giudice per le indagini preliminari, rendono «sempre inverosimile la casuale presenza, in occasione della realizzazione di grandi opere, accanto al Ciancio Sanfilippo di personaggi vicini a Cosa Nostra».