Chiedono di trovare delle alternative a quello che definiscono un esodo di massa forzato. Oltre a una maggiore trasparenza nelle graduatorie relative ai trasferimenti. «Speriamo in un incontro col Governo, ma siamo pessimisti. Faraone su Facebook dice che con noi ci parla, ma si rende latitante». Guarda le foto
Scuola, sit-in dei docenti davanti alla Prefettura «Mobilità? Ci puntano una pistola alla tempia»
Sono centinaia i docenti scesi in strada in via Cavour questa mattina per protestare davanti alla Prefettura. Al grido di «Vergogna!», che a tratti si alterna con la richiesta veemente di «trasparenza», si sono fatti largo fra le macchine e gli autobus. Una piccola delegazione di rappresentanti ha avuto la possibilità di parlare con la prefetta Antonella De Miro, che ha mostrato subito una grande empatia verso le richieste avanzate dai docenti. «Abbiamo esposto il problema sociale gravissimo che si crea a Palermo e in tutta la Sicilia con lo spostamento forzato di migliaia di insegnanti, soprattutto di donne in età avanzata, ma anche di molte mamme che sono costrette ad abbandonare la famiglia per andare a prendere servizio in città che ancora non si sa nemmeno bene quali siano» spiega Silvia Bisagna, rappresentante dell’Unione sindacale di base. «Il trasferimento è obbligatorio, se non si accetta si viene licenziati. È come avere una pistola alla tempia».
Al momento, si conoscono solo i dati relativi alla scuola primaria e secondaria di prima grado, dalle quali circa sei mila persone verranno trasferite. Un numero che è destinato a crescere appena si conosceranno anche i dati delle scuole superiori. Al problema sociale si aggiunge quello creato da un sistema informatico che ha gestito i trasferimenti su base nazionale «senza alcun criterio di trasparenza e che al 90 per cento ha ignorato i criteri che erano stati stabiliti in un precedente contratto collettivo integrativo sulla mobilità», già ampiamente contestato dai docenti. Il Ministero dell’Istruzione, tuttavia, continua a non ammettere gli errori denunciati a gran voce dagli insegnanti. «Chiediamo alla ministra Stefania Giannini e al sottosegretario Davide Faraone, che fra l’altro è di Palermo e dovrebbe conoscere quali sono le esigenze dei suoi concittadini, che vengano a un incontro pubblico a chiarire le loro posizioni. Non devono avere paura – dice Bisagna – vogliamo solo un dialogo». Un confronto a viso aperto, quindi, per trovare delle alternative a quello che i manifestanti definiscono un vero e proprio esodo di massa, non una mobilità. «La prefetta farà da intermediario col Governo, sembra aver compreso la gravità della situazione – conclude la donna – Speriamo in questo incontro, anche se siamo pessimisti. Faraone su Facebook dice che con noi ci parla, ma poi di persona si rende latitante».
«Sono una precaria storica» racconta a MeridioNews Nicoletta Zinna, attualmente insegnante presso l’istituto comprensivo Rita Levi Montalcini. «Io vorrei vedere e poter capire una graduatoria nazionale, che abbia criteri e requisiti chiari. Se con i miei 80 punti devo finire a Milano perché qui al mio posto rimane qualcuno che ne ha 500 mi sta bene. Ma se deve rimanere qualcuno che ha zero punti e che non è mai entrato in un’aula, non è giusto» si sfoga la donna. «Vogliamo una scuola che dia veramente una formazione oppure dobbiamo considerarla come un qualsiasi altro impiego pubblico in cui si ha a che fare solo con cartacce? – si domanda la docente, che prosegue – Parliamo tanto di combattere la mafia, ma perché non iniziamo combattendo la mafiosità?» alludendo a un certo modo di relazionarsi col prossimo. Zinna vorrebbe continuare a insegnare a Palermo soprattutto per contribuire alla rivalutazione della città. L’insegnate della scuola Montalcini è convinta che il sud sia stato investito da questa situazione perché il tempo scuola è di 27 ore anziché 40. Ore in cui, chi ha passione, cerca di far fare il più possibile agli alunni, soprattutto a quelli più complessi da gestire. «Ma abbiamo a che fare con scuole in cui manca il materiale e persino le fotocopie bisogna farle a casa propria. Dobbiamo combattere la mafia, ma i ragazzini li lasciamo per le strade delle zone periferiche fuori dalle scuole? – dice retorica – Ci serve un segnale forte, non vogliamo elemosinare niente. Io credo ancora in questo lavoro».