Urne chiuse domenica alle 23 e risultati pronti martedì all'alba: in mezzo il lunghissimo conteggio dei voti, con le disavventure di chi è rimasto "sequestrato" per due giorni nei seggi. «A un certo punto vai avanti per inerzia, vuoi solo che i numeri vadano al loro posto» dice Daniela Tomasino, presidentessa di seggio
Scrutatori, fino a 36 ore non stop per spoglio schede «Senza dormire: un manicomio, è stata schiavitù»
Parlano di «sequestri di persona», di «condizioni disumane», di «schiavitù». E tutto per 150 euro. Sono gli scrutinatori e le scrutinatrici di Palermo: hanno cominciato a recarsi presso i seggi, le scuole del capoluogo siciliano, alle 5 e 30 del mattino. Alcuni ne sono usciti dopo 36 ore non stop. I risultati definitivi del voto di domenica si sono avuti solamente all’alba di martedì. Loro – scrutinatori, presidenti di seggio, segretari – sembrano reduci. Hanno le voci stanche di chi è stato in trincea, di chi è sopravvissuto solo per poterlo raccontare.
«Sto recuperando solo adesso» conferma Daniela Tomasino, presidentessa di seggio in una scuola in Corso dei mille e con parecchia esperienza alle spalle. «Bisogna prepararsi alle elezioni come si fosse a una maratona, si perde lucidità nel corso delle ore. Io sono tornata a casa verso le 13 di lunedì, e figurarsi che ero superorganizzata: negli scorsi giorni avevo mangiato bene, ero andata a letto presto, avevo portato integratori e barrette energetiche. Ma avevo fatto la conta per 24 ore, non per 32. E anzi siamo stati fortunati. A un certo punto vai avanti per inerzia, vuoi solo che i numeri vadano al loro posto».
Per la giovane Flavia Messina, scrutinatrice in via Rallo, era la prima volta. Ma se le si chiede se ha intenzione di ripetere di esperienza, risponde decisa: «Manco morta, qui siamo alla schiavitù. A un certo punto il seggio sembrava un ospedale psichiatrico. Non ti puoi allontanare, si mangiava dentro il seggio, a noi hanno portato una pizza. Io ho fatto 30 ore di fila come se fosse una telethon elettorale, non ho dormito, mio padre è venuto a scuola solo per portarmi l’acqua perchè non c’era manco un distributore». Già sulla scelta delle scuole come unici luoghi per i seggi c’è dunque la prima critica. «Sono luoghi a dir poco spartani – aggiunge Tomasino -. Non ci sono sedie comode o divani, spesso non ci sono manco distributori». Rimane la domanda principale: come è possibile che si sia impiegato così tanto tempo per lo spoglio delle schede elettorali? A sentire le cronache delle giornate le pecche sono parecchie. Tanto da far affermare a Daniela Tomasino che «è un sistema folle e farraginoso, che non è pensato per le esigenze né dell’elettore né dello scrutinatore. Io lo faccio perchè ci credo, il voto è la funzione democratica più importante che abbiamo: mi dispiace che chi ha partecipato poi dica “mai più“. Un’esperienza così fa vacillare il senso dello Stato, ti porti a casa scoraggiamento e frustrazione, emerge un mostro burocratico».
Flavia traccia il resoconto di quelle interminabili ore, e le pare quasi di sognare nel riportarle alle mente: «La giornata comincia alle 5 e 30 del mattino, alle 6 ci hanno spiegato cosa si doveva fare, ma già alle 7 e 02 minuti, all’apertura dei seggi, c’erano i primi votanti. Così cominci che già hai un lavoro pregresso da fare tra conteggio delle schede e timbri da apporre, ma fino alle 23 non lo puoi svolgere perchè la giornata viene occupata dai votanti. Quindi si chiudono le sezioni e dopo si comincia, bisogna aprire le schede e compilare i verbali, e per finire prima possibile abbiamo fatto una non stop fino alle 12 del mattino. Devo dire che il mio presidente di seggio, che aveva 25 anni di esperienza, è stato fantastico, noi abbiamo finito a mezzogiorno di lunedì; invece nella sezione di fronte ci hanno messo oltre 36 ore».
Ma quali sono le cause di questa mastodontica lentezza? «Di sicuro c’erano troppi candidati – dice Flavia -. Molta gente non sa votare, specie gli anziani, ma obiettivamente era pure facile sbagliare: la scheda delle circoscrizioni era un lenzuolo, la chiamavano tutti così». Gli altri motivi li elenca Daniela: «La prima cosa sbagliata è che il seggio si fa domenica stessa e non sabato, una votazione così complicata come quella delle comunali va svolta su due giorni. Ogni singolo voto va poi interpretato, non è che si mette subito scheda bianca. In molti sbagliano: o votano in altre schede, o scrivono in maniera errata il nome del preferito, o votano nella stessa scheda consigliere di circoscrizione e quello comunale. Poi ci sono i rappresentanti di lista, che spesso molto arroganti, e ogni seggio è assediato da galoppini e sostenitori. Io ho dovuto chiamare la polizia, sono stati minacciati scrutatori, e anche queste sono ovviamente perdite di tempo. Al Comune – continua la presidentessa di seggio – bisogna dare i dati aggregati in un certo modo (quante schede hanno votato solo per il sindaco, quante per la lista, quanti voti di preferenza) e questo è un problema anche perchè magari intanto sei arrivato alle quattro del mattino e lì diventa facile errori. Per giunta continuavano ad arrivare variazioni sul modus operandi da parte della Regione, è capitato che con schede già scrutinate abbiamo dovuto riaggregare i dati in altro modo».
Di fronte a così tante difficoltà c’è chi, ma solo a operazioni concluse, ha reagito con ironia. È il caso di Marco Pomar, che ha scritto un post su Facebook già molto condiviso. Nel quale si rivolge alla «cara mamma», «dal bagno» e scrivendo «in una scheda della circoscrizione che ho rubato poco fa, approfittando di uno svenimento del presidente di seggio», per informarla che «qui il tempo è sospeso, le privazioni causano comportamenti imprevedibili, siamo tutti stanchi e incattiviti. Ventuno ore fa una collega ha sbriciolato i gessetti e se li è sniffati, un altro voleva fare fuori il bidello e arrostirlo con un falò fatto con le schede nulle, un altro ancora si è legato alla lavagna con la tenda della cabina elettorale e grida che vuole vedere il sindaco, altrimenti immischia tutte le schede e bisogna ricominciare il conteggio daccapo». Ma niente paura, «se riesco a uscire vivo da questa avventura sarò un uomo migliore, con cento euro in più e la coscienza civica a puttane».