Scioglimento Trecastagni, ricorso al Tar inammissibile Per i giudici l’ex amministrazione ha agito troppo tardi

Inammissibile. Una sola parola come uno scoglio su cui si sono arenate le speranze dell’ex amministrazione comunale di Trecastagni. Il consiglio comunale è stato sciolto a maggio dello scorso anno per mafia, su proposta dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. Da allora, l’ex primo cittadino Giovanni Barbagallo aveva proposto ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio contro gli atti che avevano portato alla decisione del governo. Il ricorso era stato presentato quando il mandato elettorale era già scaduto, e quindi non avrebbe potuto portare alla reintegrazione delle cariche.

I ricorrenti si erano opposti alla dichiarazione di improcedibilità, ritenendo di avere interesse all’affermazione dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati che, a loro avviso, legavano la loro gestione e loro stessi alla criminalità di stampo mafioso. I fatti che avevano portato alla nomina della commissione prefettizia e al successivo scioglimento sono riferibili all’inchiesta Gorgoni della procura di Catania. In occasione di quel blitz vennero arrestati due dipendenti comunali: Domenico Sgarlato, capo del settore Lavori Pubblici e Manutenzione, e Gabriele Astuto, funzionario dello stesso settore. L’accusa a loro carico era di avere favorito nell’aggiudicazione del servizio di raccolta dei rifiuti a Trecastagnila EF servizi, ditta di Vincenzo Guglielmino, definito dagli inquirenti uomo di contatto tra i clan Cappello e Laudani.

Secondo il Tar del Lazio, avendo l’ex sindaco e l’ex amministrazione «notificato il ricorso solo in data 13 luglio 2018, ossia quando la scadenza naturale del mandato elettorale (giugno 2018) era già intervenuta, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per carenza d’interesse a ricorrere ab origine ai fini della reintegrazione nelle rispettive cariche». 


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