Sant’Agata: la festa più amata dai catanesi

Di cosa si occupa precisamente un aiuto capofercolo? Che ruolo ha nella gestione della festa?

“Io mi interesso della parte tecnica di Sant’Agata: manovre, entrate e uscite di S.Agata dal suo sacello e nel riporla poi sul fercolo per la sacra processione. Mi occupo anche dei collegamenti via radio tramite un ponte radio per le comunicazioni della Chiesa che serve per dare i comandi, fatti dal capofercolo e le maniglie dei cordoni, durante il percorso cittadino”.

 

Come si sviluppa la gerarchia all’interno dei devoti?

“Vi è il capofercolo, il vice-capofercolo e poi il resto dei devoti. Rispettivamente gli attuali sono: Alfio Rao arrivato al suo settimo mandato e Claudio Baturi che ha preso il mio posto due anni fa. Io ho dovuto abbandonare per motivi di anzianità”.

 

In che senso, c’è un limite d’età?

“Il limite è quando fisicamente non riesci più ad essere operativo e dare un contributo di servizio a Sant’Agata. Bisogna vedere nella propria coscienza se dare le dimissioni o no. Però nel caso in cui avvengono episodi che intaccano la fedina penale o la moralità dell’individuo, la Chiesa non ti rinnova più questo mandato”.

 

Come si arriva a diventare “capofercolo” o “vice-capofercolo”? E’ un compito che si eredita?

“No, non è ereditario. La Chiesa attinge da un vivaio a cui dà la responsabilità della processione. Il gruppo di cui faccio parte – tra cui anche Alfio Rao – è un gruppo che nacque negli anni Sessanta. Io sono salito sul fercolo nel 1964 all’età di 14 anni. Assieme a me c’era il Dottor Tedaldi, capofercolo dal 1990 fino al 95-96. Poi è subentrato Alfio e non io. Per motivi di servizio e per scelta ho cercato di stare sempre un po’ dietro le quinte ad aiutare, invece di stare in prima linea. La responsabilità del capofercolo è 365 giorni. Questo mandato infatti non si esplica soltanto nella gestione della festa, ma presiede tutte le liturgie dell’anno in corso nella chiesa catanese: il Corpus Domini, la Santa Pasqua, il Santo Natale. Quindi ci vuole sempre una certa disponibilità”.

 

Dunque come funziona durante tutto l’anno la preparazione e l’organizzazione della festa che dura solo tre giorni?

“Ci si organizza per la festa d’estate, il 17 agosto, quando si rinnova la transazione delle reliquie di Sant’Agata e basta solo una decina di giorni per organizzarla. Invece la festa vera e propria, che cade nel periodo invernale, viene organizzata a partire da settembre. A ottobre si ufficializza il programma e una volta stilato bisogna renderlo esecutivo”.

 

I momenti più difficili e i pericoli maggiori generalmente quali sono?

“Sono le ore notturne in cui subentra la stanchezza e si richiede una grande energia. Soprattutto noi della maestranza dobbiamo rimanere sempre lucidi e prepararci a delle tappe che hanno un riscontro abbastanza delicato, come la salita di Sangiuliano o quella dei Cappuccini che invece cade nelle ore pomeridiane”.

 

A proposito della salita di Sangiuliano, ricordiamo il grave incidente di due anni fa. Perché e come è accaduto? Chi sono i responsabili?

“E’ accaduto perché i devoti hanno una tradizione che noi abbiamo sempre criticato, che è quella di correre dentro i cordoni. Ponendosi lì in mezzo, mettono in corto circuito i cordoni. Basta che qualcuno cada o inciampi, se non si ha la destrezza di scansare l’uomo, si diventa un’ammucchio di persone. Di solito noi cerchiamo di evitare questi incidenti, però un imprevisto può succedere sempre e non dipende dalla nostra volontà. In questo caso specifico, noi avevamo eseguito già tutti i nostri protocolli di esperienza perché prima di dare l’ordine di partire bisogna procedere a metterci in contatto via radio, assicurarci che le maniglie e le funi siano tese e che non ci siano molte persone nella distanza fra il fercolo ed il baiardo, cioè i primi tredici metri di cordone che devono rimanere liberi. Da quando noi gestiamo la festa sono sempre stati liberi, e anche quel giorno fu così. Solo che, purtroppo quando si partì, ad un devoto caddero gli occhiali e ad un altro venne la “felice” idea di raccoglierli. Il fercolo non ha toccato nessun devoto. Ci sono stati dei feriti, ma quel povero fratello devoto è morto perché è stato calpestato dagli altri”.

 

Alla fine dell’intervista, a microfono spento, chiediamo un’ulteriore spiegazione sull’indagine in corso nei confronti del capofercolo e scopriamo che la magistratura sta ancora cercando di ricostruire la dinamica dell’accaduto. “Dato che il fercolo non ha minimamente sfiorato nessun devoto compreso quello che poi è deceduto – calpestato invece dai suoi vicini – non si può addossare la colpevolezza ai responsabili e quindi al capofercolo”, questo è quanto dichiara Tomaselli.

Noi abbiamo anche un’altra versione, la testimonianza di Claudio Inguanti, uno dei devoti coinvolti nell’incidente e rimasto ferito che ci ha raccontato la sua traumatica esperienza. Per leggere l’intervista clicca qui.

 

Forse alcuni devoti vivono in particolare la salita di Sangiuliano come una forma di protagonismo. Sicuramente c’è la religiosità e la fede, però magari i giovani la prendono più come una sfida…

“Si, il saio certe volte viene vissuto dai giovani proprio come un costume speciale, non come un avvicinamento vero e proprio alla motivazione per cui lo indossano. C’è un fenomeno nella gioventù moderna che si avvicina a Sant’Agata, a primo impatto fatta di curiosità e di costume, poi ci si addentra sempre di più e avvengono anche delle conversioni di fede. Qualcuno inizia a capire che il saio serve ad uno scopo ben specifico e non solo ad avere una veste solo per esteriorità dettata dal momento. Ognuno ha la libertà di scegliere, l’unico requisito è che noi evitiamo di far mettere nei cordoni per la salita ragazzini che hanno a volte un’età inferiore ai 12 anni. Per il resto è responsabilità dei loro genitori o della propria coscienza. Noi cerchiamo sempre di buttarli fuori, di non farli correre, anche se poi capita che quando ritorniamo ai nostri posti, loro si inseriscono di nuovo. Purtroppo questa è una cosa che non riusciamo a controllare anche perché alla forza pubblica non interessa”.

 

Ogni anno i tempi della festa sono sempre più prolungati e la sensazione che abbiamo noi cittadini è che il rientro in cattedrale avvenga sempre con un ritardo impressionante. A cosa sono dovuti questi ritardi?

“I ritardi sono dovuti a vari fattori: prima di tutto noi cerchiamo di garantire al massimo le condizioni di sicurezza, poi lo scarico della cera e la moltitudine delle persone in processione. Spesso i commercianti ambulanti ostacolano lo spostamento dei cordoni, perché sono ad una distanza minima dalle maniglie, causando così un ulteriore rallentamento. In realtà tutti i tempi tecnici sono dettati dal popolo e dalle varie problematiche che incontriamo durante lo svolgimento della processione. La festa per noi non è mai uguale fra un anno e l’altro. Diceva un amico mio, che ho avuto l’onore di conoscere – parlo del regista Franco Zeffirelli – quando la chiesa di Catania mi diede l’incarico di contattarlo per fare un documentario su Sant’Agata, che nessun regista potrebbe produrre sullo schermo le vicissitudini e il martirio di questa santa, e che l’unico regista vero di questa festa è il popolo catanese. Solo da esso vengono dettati i tempi della processione”.

 

Quindi alla fine non ci sono soluzioni concrete per snellire i tempi della festa?

“Ci sono delle variabili che uno cerca sempre di cambiare e di rivedere nell’organizzazione della festa, come lo scarico della cera. Una volta impiegavamo un certo tempo per scaricare quintali di cera, oggi si cerca con la frequenza dei camion di ridurre questo tempo. Però man mano che passano gli anni diventa inversamente proporzionale: le persone portano molta più cera, e più diciamo di non portarla e più avviene questa reazione opposta”.

 

Vogliamo sfatare la legenda metropolitana del fercolo dotato di un motore?

“Il vero motore del fercolo sono due ali di carne umana che tirano due cordoni uno di 110 metri e uno di 115. Uno è più corto per agevolare le manovre e permettere di girare tutto il fercolo per le vie della città. Questa differenza di lunghezza evita di far toccare i cordoni, perché se fossero uguali avremo due funi parallele che tenderebbero ad incrociarsi. Sotto il fercolo non c’è il motore, però c’è un sistema meccanico di frenaggio. Negli ultimi due anni per consiglio della magistratura e per istallazione da parte del comune di Catania è stato aggiunto un altro freno idraulico secondario che il capofercolo aziona nei momenti di necessità”.

 

Tutti i gioielli e le pietre preziose che ricoprono il busto della santa da chi sono stati, e vengono tuttora, offerti? Che tipo di famiglie fanno questi doni votivi?

“Un po’ tutto il popolo, ci stanno le famiglie disagiate dei ceti sociali più disadattati, alla nobiltà agiata di Catania. Ovviamente la differenza sta nel tipo di offerta. Molte volte gli ex voto dei devoti dei quartieri più disadattati socialmente per non speculare danno le offerte con le famose candele che arrivano a 100/130 chili, affrontando questa fatica e portando addosso questo peso. Inoltre è una spesa economica non irrilevante, perché il costo di una candela da 100 chili si aggira attorno ai 70-80 euro. Poi vengono offerti anche anelli, collanine, denaro e lettere”.

 

Altre due curiosità che ci svela Tomaselli: la prima è una notizia di qualche settimana fa dei festeggiamenti patronali di Sant’Agata entrati a far parte del patrimonio dell’Unesco; la seconda è più una delle solite “leggende metropolitane” e riguarda l’ubicazione di Sant’Agata: se, come crede qualche catanese, è messa in mezzo all’acqua oppure no. “Sappiamo che sotto il duomo passano le terme Achillee con il fiume Amenano. Qualcuno è convinto che Sant’Agata è messa in una stanza sotterranea vicino all’acqua. Invece non è vero. E’ messa in una stanzetta rettangolare 7×2 dove il livello dell’acqua è quello che c’è sotto il duomo di 8-10 metri. Nel sacello di Sant’Agata c’è anche un alone di umidità che si condensa e trapana dai muri. Le persone, per riporre la santa lì dentro, stanno molto strette e di solito non possono essere più di tre”.


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