L'autrice del progetto, che si chiama MusAlbero e le tre f – fai, faccio, fatto, è Stefania Camarda, dipendente pubblica. «Il quartiere è slegato dal resto della città, ma la cultura può contribuire a riconnettere il tessuto urbano», spiega a MeridioNews. L'idea di trasformare il Castello Ursino in un ecomuseo
San Cristoforo, tesi di laurea sull’inclusione sociale «Catania seconda in Sicilia in abbandono scolastico»
L’urbanistica della collaborazione tra istituzioni e cittadini come ricetta per fare emergere le potenzialità latenti di un territorio. È il progetto MusAlbero e le tre f – fai, faccio, fatto – Un percorso di riconoscimento, presentato da Stefania Camarda, operatrice del comparto pubblico, attraverso una tesi di master di secondo livello in Management pubblico dello sviluppo locale, alla facoltà di Scienze politiche di Catania. Un project work che, partendo dal problema dell’inclusione sociale nella zona di San Cristoforo, propone un percorso di orientamento e crescita attraverso storia, identità e tradizioni che trovano la loro massima espressione nel Castello Ursino.
«Il mio progetto guarda alla periferia storica di San Cristoforo perché è un quartiere che, ancora oggi, non si lega perfettamente con il resto della città – spiega Camarda -. Il numero dei ragazzi è diminuito e le emergenze legate alla lotta alla povertà, alla criminalità minorile e all’abbandono scolastico rimangono sempre vive». «Problemi – aggiunge – che hanno fatto dimenticare le potenzialità nascoste o mortificate di quei luoghi, ma che non impediscono di avviare un processo di consapevolezza e sviluppo, indirizzato principalmente ai neet». Acronimo di youth not in education, employment or training, che indica i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non hanno un lavoro e non sono impegnati in percorsi formativi. Lo sfaldamento del modello scuola-lavoro-famiglia, associato alla crisi economica, ha reso, nel corso degli anni, sempre più difficoltoso l’accesso al mondo del lavoro, esasperando il disagio socioeconomico, in particolar modo quello della fascia giovanile.
Inoltre l’assenza di controllo sociale e di una formazione culturale adeguata, che si amplificano nei quartieri periferici, hanno trasformato molti giovani in manodopera per la criminalità organizzata. «Nel primo semestre del 2015 – prosegue Camarda – nel quartiere di San Cristoforo ben 530 minori sono stati sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria. Tra questi, 259 sono stati affidati ai servizi sociali e 51 inseriti nelle comunità. Sono state registrate 189 segnalazioni di inadempienze scolastiche – sottolinea – mentre sono 48 i minori che versano in condizioni di grave disagio socio-economico-familiare. Un dato che mantiene una certa costanza nel secondo semestre dello stesso anno – spiega Camarda – e che arriva a 315 segnalazioni di inadempienza scolastica nel 2016».
Numeri impietosi che pongono Catania come la seconda città siciliana per dispersione scolastica, dopo Palermo, e fanno registrare nell’Isola il 39 per cento di neet, a fronte del 25,7 per cento su base nazionale e del 14,8 per cento della media europea. Dati che hanno indotto l’Unione europea a mettere al centro della propria agenda le tematiche della disoccupazione giovanile e dell’inclusione sociale ma che in Italia, e soprattutto nelle Regioni meridionali, non trovano risposte adeguate e unitarie. «Oggi si deve reinventare la città – auspica Camarda – con nuovi modelli di sviluppo urbano, partendo dal capitale umano e cognitivo. La cultura, intesa come elemento trasversale che dà riconoscibilità a un territorio, può contribuire a riconnettere il tessuto urbano con quello sociale».
«Un esempio concreto è rappresentato dal quartiere di Santa Teresa di Cagliari, dove i progetti d’arte pubblica, che rivestono un ruolo strategico, sono stati capaci di coinvolgere le comunità. A Catania – va avanti Camarda – il Castello Ursino sarebbe un luogo ideale per contribuire alla crescita e alla formazione, sia del territorio che dei giovani. Nel mio progetto viene presentato come perno di un ecomuseo». Il termine, coniato negli anni Settanta dal museologo Georges Henri Riviére, indica un progetto di partecipazione attiva di una comunità locale per incentivare lo sviluppo locale, partendo dalla valorizzazione e dalla conservazione delle risorse interne. Un partenariato capace di coinvolgere istituzioni pubbliche, scuole e associazioni per il mantenimento o il recupero delle attività tradizionali, di antichi mestieri e l’avvio di botteghe-scuola, nell’ottica della coesione sociale.
«Il maniero federiciano è un museo che, nel corso degli anni, ha fatto registrare una crescita costante di visitatori e oggi si relaziona anche con le scuole e con il territorio – dice l’autrice della tesi -. Girando per le strade di San Cristoforo si scoprono tantissimi luoghi di cultura e tradizioni che potrebbero fare da percorso ideale di un ecomuseo, fatto di edicole e altarini che sono angoli di vita e tradizione». «Un connubio tra sacro e profano – spiega – a cui si aggiungono i monumenti storici e le botteghe, delle piccole attività, messe a rischio sopravvivenza dalla globalizzazione e dalla forte industrializzazione, che oggi stanno riemergendo. Allora perché non immaginare, attraverso un percorso formativo, una valorizzazione del made in Sicily o il made in Catania?».
Tecnica, autenticità del prodotto e cultura artigianale che fino al secolo scorso caratterizzavano l’artigianato catanese, con maestri del legno, del ferro o alla ceramica, che attraverso le loro botteghe creavano benessere e sviluppo per la città e formavano maestranze preziose. «Nel quartiere di San Cristoforo ci sono persone che, ancora oggi, vivono di artigianato – ricorda Camarda -. Botteghe che andrebbero sostenute in un percorso di crescita e che nel mio progetto diventano, insieme al Castello, un luogo di partenza per apprendere un mestiere. Un percorso di vita quotidiana – conclude – destinato a un turismo di nicchia, dove alcune imprese sociali potrebbero diventare una possibile occupazione per un gruppo di beneficiari, magari di giovani scelti tra i neet».