“Ritorno al Futuro”: la scommessa di una destra italiana lontana dalla politica ‘commerciale’ di Berlusconi

ALLA FINE LE PERSONE PIU’ SERIE DI QUESTA AREA POLITICA SONO QUELLE CHE NON HANNO ADERITO ALL’ALLEANZA ELETTORALE DEL 1994 CON EX DEMOCRISTIANI ED EX LIBERALI E ALLA FINTA SVOLTA DI FIUGGI CHE PORTO’ QUESTO PARTITO VERSO IL CAVALIERE DI ARCORE

Ritorna il simbolo di Alleanza Nazionale dopo le vicissitudini attraversate dalla destra italiana negli ultimi anni? Lo sperano e per questo obiettivo si battono i protagonisti dal Comitato “Ritorno al Futuro” formato dai giovani della nuova destra che già ieri ha lanciato l’ipotesi di occupare la sede della fondazione in via della Scrofa, a Roma.

“Il glorioso simbolo – si legge in una petizione on-line ‘Riprendiamoci il simbolo di Alleanza Nazionale’ – è patrimonio di una intera comunità di militanti ed elettori e non della ristretta cerchia di politici di professione che oggi controllano la Fondazione AN. Chiediamo quindi che il simbolo sia messo a disposizione degli elettori e possa comparire sulla scheda elettorale fin dalle prossime elezioni politiche, amministrative ed europee”.

Da giorni in tante città italiane i manifesti “Riprendiamoci il futuro” hanno fatto resuscitare sui cartelloni il simbolo e logo di Alleanza Nazionale, nella prima versione: quella di Fiuggi, con all’interno la fiamma tricolore e la scritta Msi-dn.

La rinascita di Alleanza nazionale, nell’idea dei protagonisti di questa particolare avventura, dovrebbe andare di pari passo con la ‘resurrezione’ del simbolo di Forza Italia voluta da Berlusconi. Un modo, tutto sommato corretto, per non regalare al Cavaliere quell’elettorato di destra che ha sempre mal digerito la ‘fusione a freddo’ di An dentro il Pdl.

“Occuperemo in modo permanente – ha annunciato in un comunicato il neo costituito comitato ‘Ritorno al Futuro’ formato da ragazze e ragazzi della nuova destra – la sede della fondazione Alleanza Nazionale in via della Scrofa a Roma, finché non sarà data una risposta convincente a chi pubblicamente da mesi chiede che sia rimesso a disposizione di milioni di elettori il glorioso simbolo di AN. Si tratta del patrimonio di una comunità e non di una ristretta cerchia di politici di professione”.

La presa di coscienza arriva con un po’ di ritardo. Anzi, con molto ritardo. Perché, in realtà, quella che è sempre stata salutata come un punto di forza della svolta impressa da Gianfranco Fini al suo ormai ex Partito è stata – e la storia l’ha dimostrato – una manifestazione di debolezza.

Chi, a destra, ha sempre avuto le idee chiare ha contestato sin dall’inizio – cioè dal 1994, anno del patto elettorale di destra con ex liberali ed ex democristiani – questa svolta. Che un anno dopo – nel 1995 – a Fiuggi avrebbe consacrato una destra alleata di Berlusconi. Un errore, culturale prima che politico, gravissimo. 

La verità è che la destra italiana, nata sulle ceneri dell’Italia fascista, poteva anche non piacere, ma aveva un forte radicamento sociale. La destra di Giorgio Almirante, per essere chiari, poteva non piacere, ma aveva una radice nazionalpopolare. E non era né liberale, né democristiana. E non avrebbe mai avuto nulla a che spartire con Berlusconi.

Fini, è inutile girarci attorno, ha guidato non una svolta innovativa, ma una degenerazione della destra italiana verso i valori di un capitalismo rampante impersonato da Berlusconi, esempio di personalizzazione della politica legata a valori che erano e sono diametralmente opposti a quelli della destra sociale.

Chi, negli anni ’70 del secolo passato, leggeva ‘Linea’ di Pino Rauti se seguiva Almirante non dovrebbe avere molti dubbi.

La base della destra italiana poteva anche non piacere, ma non aveva nulla da dividere con l’alleanza elettorale del 1994 con ex democristiani ed ex liberali. E, soprattutto, non aveva nulla da dividere con Berlusconi.

Il Cavaliere ha sempre saputo e ha sempre lavorato per inglobare e far scomparire An nel suo Partito-Azienda. Tant’è vero che, quando Berlusconi ha impresso la svolta del cosiddetto ‘Predellino’, mezza An era già passata, sottobanco, con il Cavaliere. A Fini, segretario molto distratto, non è restato altro che prendere atto di una situazione di fatto. Avrebbe potuto dire “No” al Pdl. Ma avrebbe tenuto, a malapena, mezzo Partito. L’altra metà era già con Berlusconi. Queste è storia, peraltro recente.

Fini è stato un po’ troppo presuntuoso. Ha creduto – una volta entrato nel Pdl – di essere uno dei ‘padroni di casa’. Mentre invece era solo un ‘ospite’, peraltro non molto gradito. Quando si è accorto di essere in trappola era troppo tardi.

I suoi errori – e gli errori di chi gli è andato dietro a partire dal 1994 – hanno determinato la scomparsa della destra italiana, inglobata in modo proditorio e truffaldino in un Partito-Azienda che nulla ha a che spartire con la tradizione della stessa destra italiana.

Di fatto, i veri militanti della destra italiana sono quelli che si sono dissociati da Fini sin dal 1994: quelli che sono rimasti fuori dalle alleanze tattiche con ex liberali ed ex democristiani prima e con Berlusconi dopo.

E oggi? La destra fa bene a ripartire dai giovani. Ma dovrebbe ripescare anche quei tanti che, nel 1994, cominciarono a prendere le distanze da Fini e dalle sue svolte sbagliate.

Riusciranno i giovani a riprendersi il simbolo di AN senza le contaminazioni del Partito-Azienda del Cavaliere? Riusciranno a far rivivere i valori della destra che con Berlusconi e lòa sua idea ‘commerciale’ della politica non hanno nulla a che vedere?

 


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