La sorella del giudice ucciso 23 anni fa dal tritolo di Cosa nostra in via D'Amelio è affranta. Quando sale sul palco dell'iniziativa "Legami di memoria" promossa dall'Arci a casa Professa, lì dove Paolo tenne il suo ultimo discorso, con voce grave dice: «Capita che non ti puoi fidare più di nessuno e la solitudine diventa troppo profonda»
Rita Borsellino: «L’ennesimo buco nero» «Dobbiamo capire se ci sono dei Giuda»
«Questo è l’inizio dell’ennesimo buco nero, la nostra storia e, non parlo solo di quella siciliana, di buchi neri ne ha troppi. Ancora una volta siamo qui a chiederci se è vero o non meno, chi lo ha detto e se lo ha detto. Ancora una volta si rischia che tutto precipiti dentro un unico buco nero, persino la voglia di sapere la verità». Rita Borsellino, la sorella del giudice ucciso 23 anni fa dal tritolo di Cosa nostra in via D’Amelio, è affranta. Quando sale sul palco dell’iniziativa “Legami di memoria” promossa dall’Arci a casa Professa, lì dove Paolo tenne il suo ultimo discorso, con voce grave dice: «Capita che non ti puoi fidare più di nessuno e la solitudine diventa troppo profonda. So quanto sia pesante dover ammettere che forse si è fatto male a fidarsi di una persona con cui si è condiviso tanto».
Parla del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, delle molte battaglie antimafia condotte insieme. Lo fa nel giorno dell’intercettazione rivelata da l’Espresso, poi smentita dalla Procura, secondo cui conversando con il governatore il suo medico personale nonché primario di Villa Sofia, Matteo Tutino, arrestato nei giorni scorsi per truffa, peculato e abuso d’ufficio, avrebbe detto che Lucia Borsellino «va fatta fuori. Come suo padre». «Ho provato sconcerto davanti allo squallore di certe frasi» ammette. Di più. «Mi sono sentita schiaffeggiata, ho pensato: “È l’ennesimo 19 luglio in cui ci sono rivelazioni che fanno tremare i polsi”. È una cosa bruttissima, tremenda e squallida. Ho visto il volto di Lucia, ho sentito le sue parole accorate – aggiunge – ho sentito i pugni allo stomaco davanti a tutto questo. Poi è arrivata una smentita e poi una contro smentita»
«Nel suo ultimo discorso fatto da Paolo proprio qui, a casa Professa – ricorda la sorella del giudice antimafia – mio fratello parlò di Giuda e gli si incrinò la voce nel farlo. Proviamo a capire se ci sono dei Giuda che operano in un certo modo, ma dobbiamo saperlo chiaramente, vogliamo le conferme, i fatti, non solo le parole». Per lei, comunque, questo è «l’inizio dell’ennesimo buco nero. La delusione fa tanto male, perché quando la strada dell’impegno ti preme dentro, il dolore, lo scoraggiamento, il senso di impotenza rischiano davvero di distruggerti – continua – e alla fine sei costretto a fare i conti con una società che non vuole la verità».
Ma nel suo intervento c’è spazio anche per un altro tema. L’antimafia di facciata. Le accuse a chi della battaglia contro Cosa nostra ha fatto un vessillo per fare carriera. «Questa polemica, pilotata e costruita sulle pagine dei giornali, sull’antimafia di facciata temo sia strumentale e funzionale a qualcosa». Il rischio, però, per la sorella del giudice ammazzato da Cosa nostra, è di «buttare via l’acqua sporca con tutto il bambino», perché c’è sempre stata «un’antimafia utilizzata per fare carriera, il rischio c’è, oggi se ne parla di più perché l’informazione è diversa rispetto a 20 anni fa, ma guai se ci scoraggiamo e se torniamo a chiuderci nelle nostre case».