«Un passo in avanti verso la transizione ecologica della Sicilia». È così che la Regione annuncia l’approvazione dell’elenco di 301 Comuni dell’Isola che riceveranno i fondi per la costituzione di Comunità di energie rinnovabili e solidali. Quasi 4 milioni di euro per associazioni di cittadini, condomìni, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali, piccole e medie imprese […]
La Regione finanzia le comunità energetiche rinnovabili: cosa sono, come funzionano (e cosa manca)
«Un passo in avanti verso la transizione ecologica della Sicilia». È così che la Regione annuncia l’approvazione dell’elenco di 301 Comuni dell’Isola che riceveranno i fondi per la costituzione di Comunità di energie rinnovabili e solidali. Quasi 4 milioni di euro per associazioni di cittadini, condomìni, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali, piccole e medie imprese unite per condividere impianti di energia rinnovabile che soddisfino il loro fabbisogno. A partecipare al bando sono stati 312 comuni sui 391 esistenti in Sicilia. L’elenco del dipartimento regionale dell’Energia mostra l’accoglimento di quasi tutte le domande pervenute, eccetto quelle di undici comuni che risultano esclusi dai fondi: Belpasso e Misterbianco nel Catanese; Burgio, Menfi, Palma di Montechiaro e Porto Empedocle nell’Agrigentino; Cerda e Marineo nel Palermitano e infine Fondachelli-Fantina, Librizzi e Ucria nel Messinese.
«In una comunità energetica, il primo risparmio in bolletta si ha autoproducendo appunto l’energia che si utilizza, ma non solo – spiega Marco Beccali, docente di Fondamenti di energie rinnovabili all’università di Palermo e al Politecnico di Milano, ospite di Ora d’aria, in onda su Sestarete tv e Radio Fantastica – Non si pagano ad esempio gli oneri di trasporto, quella voce che tutti abbiamo imparato a leggere nella bolletta tradizionale e che sono una sorta di pedaggio per il passaggio dell’energia. C’è infine anche un bonus sull’energia prodotta, che però non deve diventare un business». Si rivende insomma l’energia in eccesso, ma non come lavoro.
Secondo la definizione data dalla legge, per definire una comunità energetica solidale e accedere ai fondi «serve che almeno il dieci per cento dei partecipanti si trovi in povertà energetica – continua il docente – Tempo fa avremmo tradotto questa definizione con chi aveva difficoltà ad avere accesso all’energia, con bassi consumi o problemi nel riscaldare casa. Ma adesso, in questo momento storico, si intende anche chi ha difficoltà a pagare e bollette, allargando decisamente la platea».
In media, le domande pervenute riguardano la costituzione di due comunità energetiche per territorio. Tra i capoluoghi di provincia, i contributi più alti sono stati assegnati a Palermo, con più di 63mila euro, e circa 33mila a Messina. I Comuni ammessi riceveranno intanto dal dipartimento regionale un anticipo del 40 per cento del contributo totale. «Una quota destinata al progetto e a coprire altri costi immateriali, non l’acquisto degli impianti», specifica Beccali. Aprendo al problema principale: il reperimento dei fondi da investire per l’acquisto di impianti fotovoltaici o altre fonti di energia rinnovabile. «Secondo i calcoli, una piccola comunità energetica senza troppe pretese rientrerebbe dall’investimento in quattro o cinque anni, guadagnandoci per altri 15 o 16 anni, perché gli incentivi valgono per 20 anni – continua il professore – Ma l’incertezza del momento storico spinge anche le banche in una situazione attendista circa l’opportunità di concedere dei fidi o piccoli mutui».
Un passaggio «da poche grandi centrali a tante piccole e piccolissime, anche sul tetto di casa nostra» che sembra ormai inarrestabile anche a livello europeo e che potrebbe spingere la politica ad attivare nuovi incentivi, anche e soprattutto sugli investimenti necessari. Che non riguardano, nell’esempio del fotovoltaico, solo i pannelli. «Servono anche dei dispositivi per avere l’energia in corrente alternata e non continua – spiega Beccali -, è poi raccomandabile la batteria per accumulare energia anche quando non si riesce a produrla e infine si sta ormai imponendo, anche come metodo di risparmio ulteriore, la necessità di un sistema intelligente di gestione che dica quando conviene prendere l’energia dalla rete e quando dal proprio impianto».
Energia che va poi condivisa, al momento, con tutti i componenti della comunità energetica. «In futuro si spera di arrivare a una liberalizzazione del mercato, con la possibilità di vendere l’energia prodotta anche dall’altra parte dell’Italia, pagando il pedaggio della rete. Questo però comporterebbe una rivoluzione delle tariffe, innanzitutto – conclude il docente – Nel mondo si sta già muovendo un nuovo approccio di monetizzazione dei servizi che è parente stretto dei bitcoin, delle criptovalute e delle logiche di blockchain. Ma tutto questo significa anche togliere spazio a tanti operatori attuali. Nel medio periodo vedo fattibili piuttosto alcuni esperimenti che si stanno già effettuando con una sorta di gettoni virtuali o con la gamification, ossia una sorta di gioco a punti per chi è più virtuoso nel risparmio energetico. Punti spendibili per l’acquisto dell’energia, appunto, o per prodotti come lampadine a basso consumo».