Regionali, tensione in Alternativa Popolare dopo voto Vinciullo: «A Roma filosofia e invidie, io solo al fronte»

Dal tracollo in Sicilia ai proclami in vista delle Politiche. Per Alternativa popolare è senz’altro un periodo particolare. Rimasto fuori dall’Ars con appena 80mila voti, che non hanno consentito di superare la soglia di sbarramento, il partito di Alfano si trova nella condizione di dovere guardare al futuro per non pensare al presente. Un presente che almeno a livello siciliano – un tempo roccaforte degli alfaniani – non è certo dei migliori. Lo sforzo di immaginazione – e per certi aspetti di rimozione – ha trovato spazio sabato scorso nella conferenza programmatica nazionale. Nella sala convegni del Marriott Hotel di Fiumicino si sono radunati oltre 1500 tra amministratori e «amici» di Ap, come li ha definiti in un post su Facebook il coordinatore regionale del partito Giuseppe Castiglione. «Dopo la brusca frenata delle elezioni siciliane ci siamo rialzati ed abbiamo subito dimostrato di essere presenti e radicati sul territorio», ha scritto il sottosegretario del governo Gentiloni, specificando che l’incontro è servito per discutere «del nostro progetto, di lealtà e coesione» e non di alleanze. 

A sedere in sala, però, c’era anche chi proprio nella mancanza di coesione e di lealtà rintraccia le cause della sconfitta del 5 novembre. Parliamo di Vincenzo Vinciullo, deputato uscente e candidato più votato nelle liste di Ap che, nonostante un ragguardevole nove per cento nel collegio di Siracusa, ha dovuto salutare le speranze di essere riconfermato a sala d’Ercole. Una delusione che è lontana dal rientrare e rischia di trasformarsi in spia di allarme per la compagine di Alfano. «È da più di una settimana che attendo che qualcuno faccia una riflessione su quanto accaduto», attacca Vinciullo. L’ex presidente della commissione Bilancio all’Ars punta il dito contro la mancanza di realismo che avrebbe caratterizzato l’evento nella Capitale. «A Roma c’è stato chi ha fatto filosofia, mentre al fronte in Sicilia ci sono andato io», prosegue. La metafora militare torna anche quando Vinciullo parla della presunta mancanza di organizzazione che avrebbe inciso nell’esito del voto. «A Siracusa mi avevano promesso 30mila voti e ne sono arrivati 13mila, di cui la metà miei – racconta -. Come quando in battaglia ti promettono di mandarti le truppe e invece le truppe, alla fine, non arrivano».

E così mentre Castiglione rinvia il momento del confronto – «non devo replicare a Vinciullo e poi il 24 c’è la direzione nazionale» – il politico siracusano non manca di definire i contorni di quella che considera «una Caporetto». «Perché abbiamo perso? Bisognerebbe prima chiedere se ci siamo impegnati a fare conoscere le cose fatte in questi anni – va avanti l’ex deputato -. Per esempio mi piacerebbe sapere se siamo andati in giro a dire agli imprenditori che da gennaio in Sicilia non si pagherà più l’addizionale Irap oppure se abbiamo informato gli elettori del fatto che gli inoccupati non pagheranno più il ticket. Ho avuto l’impressione – sottolinea Vinciullo – che pur di non ammettere i meriti di un collega, in questo caso io, si è preferito nascondere le cose». La riflessione viene poi spostata sul differente apporto dato dagli alfaniani nei vari collegi: «A Siracusa e ad Agrigento (8 per cento) siamo andati bene, poi però a Catania (territorio di Castiglione, ndr) non si arriva al quattro per cento. Io sono stato serio fino all’ultimo, nonostante mi avessero cercato sia il Pd, per la lista del presidente, che Cardinale (Sicilia Futura, ndr)».

A cercare di allentare la tensione è Vincenzo Garofalo. Il deputato nazionale originario di Messina – dove Ap è andata appena sopra la media regionale – nega che sul tema Sicilia si sia voluto glissare. «Era un incontro programmato prima di sapere come sarebbero andate le Regionali – spiega al telefono -. Non è vero che non è stato toccato, ma non ci si è soffermati. Comunque ho già sollecitato l’organizzazione a un incontro per riflettere sul lavoro fatto in Sicilia». Anche Garofalo, tuttavia, preferisce guardare avanti. «Le Politiche non sono lontane, ma prima di parlare di alleanze è stato giusto dibattere sui temi da portare agli elettori – dichiara -. Se ragionassimo su dove conviene stare, bisognerebbe dire che la scelta migliore al momento appare il centrodestra, ma abbiamo il dovere di ragionare su cosa abbiamo fatto in questi anni di governo. Un periodo in cui – sottolinea Garofalo – abbiamo avviato la ripresa del Paese e tutti gli indicatori ci danno ragione». Ciò non toglie che la porta ai vecchi amici di centrodestra non si può ritenere chiusa. «Provengo da Forza Italia e sarei felicissimo, pur rimanendo in una forza autonoma, di fare un’alleanza con loro, con un progetto che sostenga le ragioni del Partito popolare europeo. Il problema è però quando Forza Italia, per accrescere il consenso, accetta il populismo della Lega che illude le persone facendo credere che si può fare a meno dell’Europa». Parole che ricalcano il pensiero dello stesso Alfano: «In questi anni i populisti hanno guadagnato consenso. Ma loro migliorano i sondaggi, noi abbiamo migliorato l’Italia», ha detto il ministro degli Esteri.

Temi di ampio respiro che non servono a mitigare l’amarezza di Vinciullo. «Capito che le cose sarebbero andate male, avrebbero potuto dirmi di provare a essere eletto con un’altra lista, per poi magari rientrare nel partito. In guerra si può anche indossare la divisa del nemico per evitare di essere fucilati», conclude il politico aretuseo. Con l’ultima metafora dal sapore bellico che rimanda a un agonismo che, evidentemente, non ha attecchito nell’animo dei colleghi di partito.


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