Regionali, il voto disgiunto ha premiato Cancelleri «Alle Politiche M5s potrà attaccare bacino del Pd»

E se alla fine la Sicilia si rivelasse davvero laboratorio politico per l’Italia, al punto da dare non solo suggerimenti sulle alleanze in vista delle Politiche 2018 ma anche i correttivi da apportare alla proposta dei singoli partiti? L’ipotesi potrebbe essere tutt’altro che remota e nasce da un aspetto apparentemente sottovalutato dai protagonisti delle Regionali: il voto disgiunto.

Dietro la vittoria di Nello Musumeci c’è un apporto quasi nullo della possibilità data all’elettore di votare un candidato presidente diverso dal partito sostenuto. A dirlo sono i numeri, che vedono il neo-presidente vittorioso con 830.821 preferenze, circa 21mila in più rispetto a quelle andate alle cinque liste che lo sostenevano. La differenza però è ampiamente giustificabile con il fatto che dentro le cabine elettorali i siciliani hanno dato più importanza al voto per il candidato presidente rispetto a quello per le singole liste, con i primi che sono stati oltre 160mila in più. A beneficiare di queste scelte sono stati quattro dei cinque aspiranti governatori. L’unico ad avere avuto un consenso inferiore rispetto alla propria coalizione è stato infatti Fabrizio Micari. Il candidato di centrosinistra, che ha pagato tanto l’estraneità al mondo politico quanto una campagna elettorale fin troppo morbida, ha raccolto quasi centomila voti in meno di quanto ottenuto da Partito democratico, Alternativa popolare, Sicilia Futura e Arcipelago Sicilia.

A chi sono andati questi voti? Giancarlo Cancelleri, che ha preso 200mila voti in più rispetto alla lista del M5s. Una risposta che alla vigilia era tutt’altro che scontata e che oggi dà il la a una serie di riflessioni che potrebbero avere ripercussioni anche sulla scena nazionale. «Il messaggio che è venuto fuori dalle urne è importante – commenta il politologo Giancarlo Minaldi -. Gli elettori di centrosinistra hanno chiaramente dimostrato di preferire il Movimento 5 stelle al centrodestra guidato da Musumeci. Una scelta che dà la misura della distanza della classe dirigente del Pd dal proprio elettorato». La tesi dell’esperto si basa anche sui movimenti che nei giorni precedenti alla consultazione si sono registrati negli ambienti vicini ai big del Partito democratico. «In molti hanno preparato in maniera più o meno sotterranea il campo a un’alleanza con il centrodestra – continua Minaldi -. D’altronde, con il Movimento 5 stelle che non è disponibile ad alcun accordo, l’unico interlocutore per i partiti del centrosinistra sarebbe potuto essere Musumeci». Tatticismi che però gli elettori dell’area democratica non avrebbero condiviso: «I dati parlano chiaro, c’è stata una polarizzazione verso Cancelleri di quanti hanno optato per il voto disgiunto», ribadisce il politologo.

E se quanto accaduto non è bastato a fare dell’Isola la prima regione d’Italia con un governo a cinque stelle, il partito di Grillo potrebbe comunque ricavarne spunti fondamentali per rendere al meglio alle prossime tornate. A partire, come detto, per le Politiche della prossima primavera. «Non mi stupirei se da adesso il Movimento 5 stelle modificasse il proprio messaggio politico a livello nazionale – spiega il politologo -. Il motivo è semplice: hanno capito che possono fare breccia nel bacino elettorale del centrosinistra, anche se bisogna ricordare che fino a ora per un elettore di sinistra è stato più facile sentirsi vicino al M5s a livello locale e regionale, mentre sulla scena nazionale le posizioni sono state più distanti. Ma nei prossimi mesi potrebbero ridursi». In tal senso, potrebbe essere interpretabile anche la scelta di Luigi Di Maio di non partecipare al confronto televisivo chiesto in un primo momento a Matteo Renzi. «Hanno detto che non riconoscono più una leadership nel segretario del centrosinistra e da parte loro hanno tutto l’interesse a non accreditarlo come tale. Al contempo però – aggiunge Minaldi – c’è anche il fatto che al momento il competitor per le elezioni politiche sembra essere il centrodestra».

A cercare di invertire questa tendenza dovrà essere il Partito democratico, che però dalla sua ha già diverse questioni da affrontare. A partire dalla fronda interna che pare puntare a fare ricadere proprio sul segretario dem le maggiori responsabilità del periodo nero del partito. Nonostante il diretto interessato ieri abbia cercato di gestire la sconfitta. «Ma non c’è riuscito per nulla – attacca l’esperto-. Dire che il M5s ha perso voti rispetto al 2013 non ha senso. A quelle Politiche – conclude l’esperto – si votava senza preferenze e in una terra dove il clientelismo è radicato non ci si deve stupire se alcuni tra quanti quattro anni fa votarono cinque stelle, magari per protesta, domenica abbiano votato per candidati di altri partiti».


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