L’entusiasmo circola sottotraccia, fra mille telefonate e circuiti di amicizie e relazioni che tornano ad illuminarsi dopo anni di inattività solo apparente. I lombardiani ci sono, hanno affrontato le Regionali con il brio dei vecchi tempi e adesso si preparano ad incassare. Forti del successo elettorale di un contenitore che quest’estate, quando il centrodestra era ancora una casa in gran disordine, nemmeno esisteva. La lista Popolari e autonomisti, nata dalla fusione a freddo dell’ex Cantiere popolare di Saverio Romano con il movimento Idea Sicilia di Roberto Lagalla – eletto all’Ars – e quel che restava della galassia post-autonomista, ha centrato un lusinghiero 7 per cento, portando a Palermo cinque deputati. Certo, il numero dei voti – circa 136 mila – resta lontano dagli oltre 290 mila che nel complesso la lista dell’ex Mpa e la lista dei cuffariani – con all’interno gente del calibro di Valeria Sudano, oggi protagonista del Pd con Luca Sammartino – mietevano alle elezioni del 2012. Ma questo 7 per cento, che per la provincia di Catania si materializza in oltre 27 mila voti, consente comunque a qualche sassolino di scivolare via dalle scarpe dei lombardiani etnei. Mobilitati e galvanizzati nonostante l’assenza dalle scene pubbliche del leader intramontabile, Raffaele Lombardo. Era toccato al fedelissimo Antonio Scavone dar corpo all’autonomismo in cerca di consensi nel corso dell’unico bagno di folla che i lombardiani si erano concessi in campagna elettorale: a Catania, all’evocativa Terrazza Ulisse, con il palco affidato anche all’ex assessore all’Economia Gaetano Armao e agli stessi Lagalla e Romano.
In famiglia, dapprima, un altro rospo aveva dovuto ingoiarlo al momento della formazione delle liste con l’esclusione, decretata dalle barricate dei colonnelli catanesi del partito, del nipote Peppe dallo schieramento di Forza Italia. La voglia di rivalsa si era così canalizzata nell’assemblaggio di una squadra di candidati all’Ars competitiva, andando a pescare fra vecchie glorie, ex amministratori, sindaci in carica e giovani promesse. Il risultato? L’elezione a Palazzo dei Normanni dell’ex sindaco di Grammichele Pippo Compagnone, da sempre al fianco del presidente e pronto a migrare da Roma a Palermo. Compagnone, infatti, dal 2013 siede a palazzo Madama, in forza di quell’accordo tra l’Mpa e l’allora Popolo della Libertà che gli consentì di accedere al Senato della Repubblica – eletto in Campania, magie dell’ormai archiviato Porcellum – assieme allo stesso Scavone. I due, dapprima dal gruppo Grandi autonomie e libertà, sostengono il governo Letta assieme al Pdl, per poi passare all’opposizione con la nascita di Forza Italia. La svolta di maggioranza arriva con Matteo Renzi: Scavone e Compagnone entrano nel gruppo creato da Denis Verdini, Alleanza liberalpopolare – Autonomie, per puntellare in Senato il governo del segretario del Pd. Con l’attuale premier Gentiloni il sostegno al centrosinistra si interrompe. In tempo per rientrare, stavolta sul piano regionale, nel centrodestra ritrovato che ha condotto alla vittoria Nello Musumeci.
La rivincita della famiglia Lombardo non passa solo dal senatore che diventa parlamentare in Sicilia. Al secondo posto della lista catanese è giunto, con più di 4800 voti, Filippo Privitera, sindaco di Camporotondo etneo, che l’ex presidente della Regione non l’aveva mai rinnegato nemmeno nei momenti più bui. All’avventura elettorale Privitera non ci pensava, ma quando gli si è presentata l’opportunità last minute di correre non se l’è fatto ripetere due volte. Anche a costo di scontentare qualche alleato politico dell’area metropolitana, come il sindaco di Belpasso Carlo Caputo, impegnato a far votare il neo eletto Giuseppe Zitelli. Dietro di Privitera, anche loro fuori dall’Ars, sono arrivati altri centristi migrati verso l’autonomismo durante la campagna elettorale: l’ex sindaco di Tremestieri e deputato uscente Salvo Giuffrida, l’ex vicesindaco di San Giovanni La Punta Giuseppe Toscano, il lagalliano pentito Santo Primavera e Nicolò Sofia, figlio del consigliere catanese Carmelo, fedelissimo di Enzo Bianco. Menzione a parte merita Gianfranco Vullo, deputato uscente passato dal Pd alla lista autonomista alleata con Musumeci il giorno prima della chiusura delle liste, dopo lunga indecisione sul simbolo da sposare. La sua corsa si è fermata a 2627 preferenze, quarto posto.
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