Rebeldino, la moneta alternativa catanese L’esperto: «L’euro non è l’unica soluzione»

Il salario per una serata da barista?  Dai cinque ai sette rebeldini. Il prezzo per un chilo di sapone? Cinque rebeldini. Succede a Catania, all’interno del gruppo Officina Rebelde, associazione della sinistra antagonista. Una moneta alternativa per ovviare all’euro, un modo originale per combattere la crisi usato sempre più spesso in altre città del mondo: dalla Grecia alla Sardegna, dagli Stati Uniti a Nantes in Francia.

A Catania l’hanno chiamata Rebeldino e hanno fissato ad uno la quota di scambio con l’euro. Un rebeldino, cioè, equivale ad un euro. Quattro i tagli delle banconote in cartoncino: 50 centesimi, uno, due e cinque rebeldini. «Il bar, i concerti, le cene sociali, la produzione di sapone: tutte queste piccole prestazioni lavorative che facciamo da sempre e che prima non venivano pagate, adesso le retribuiamo in rebeldini», spiega Federico Galletta, portavoce di Officina Rebelde. L’idea di una moneta locale alternativa nasce da lontano ed ha recentemente trovato nuovo terreno fertile a causa della crisi. «È un’idea storica del movimento anarchico – spiega Galletta – riportare il denaro alla sua funzione originaria, che non è l’accumulazione ma lo scambio. In fondo la moneta nasce prima dello Stato e anche delle banche».

Sono una cinquantina le persone, tra militanti e frequentatori della comunità Rebelde, che utilizzano la nuova moneta. «Ma il sistema crea fidelizzazione e il gruppo si allarga – precisa Galletta – Se, ad esempio, paghiamo in rebeldini chi ci porta il sapone, questi sono in qualche modo costretti a tornare all’Officina per poterli spendere». Un modo per compensare i sacrifici e che, a detta degli stessi militanti, «serve a sopravvivere in tempi di crisi, ma non a risolverla».

Non la pensa esattamente allo stesso modo Massimo Amato, professore di Storia economica all’Università Bocconi, chiamato, insieme al collega Luca Fantacci, dal sindaco socialista di Nantes Jean Marc Ayrault per creare nella città francese una nuova moneta locale, il bonùs. «Se vengono fatte bene – spiega a Ctzen il professor Amato – le monete locali possono essere un rimedio alla crisi. Se poi tutto il sistema finanziario spostasse il suo baricentro su forme di finanza di compensazione le crisi potrebbero essere addirittura evitate». A Nantes ci stanno provando. I due docenti italiani lavorano proprio alla realizzazione di una camera di compensazione tra imprese. «Si tratta – chiarisce Amato – di creare una unità di conto (una moneta che misuri il valore dei beni ndr). Quando un’impresa compra va in debito, se vende avanzerà dei crediti. Il tutto con dei tetti massimi e un piccolo interesse».

L’obiettivo è il tendenziale pareggio di tutti i conti. Sono circa 50mila le imprese che operano a Nantes. «Stiamo lavorando per coinvolgerne il maggior numero possibile, anche il dieci per cento sarebbe un buon traguardo e garantirebbe un’offerta di beni variegata». Anche una parte degli stipendi dei dipendenti verrebbe pagata in bonùs. Così si velocizzerebbero gli scambi, nascerebbe una domanda più forte per i beni locali delle imprese e si rafforzerebbe il circuito. Ma soprattutto, sottolinea il docente della Bocconi, «la moneta circolerebbe e non sarebbe accumulabile».

Rebeldino o bonùs, Sicanex o Chiemgauer – esperimento tedesco quest’ultimo che si basa sugli stessi principi – per Amato le monete locali non segnerebbero la fine dell’euro. Ma potrebbero benissimo convivere. Lo spiega nel suo nuovo libro Come salvare il mercato del capitalismo. Idee per un’altra finanza, in uscita prossimamente. «E’ necessaria una riforma dell’euro – continua Amato – che da moneta unica potrebbe essere affiancata da altre nazionali e locali, uscendone rafforzato. È possibile, basta delimitare bene le aree di utilizzo». I vecchi coni nazionali o le nuove monete locali servirebbero per gli scambi interni, l’euro per quelli internazionali. «Chi l’ha detto che la Grecia ha come uniche strade rimanere nell’euro o tornare alla dracma? Una terza via è ancora possibile».

[Foto di Jano Fistialli]


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