Non cè ambientazione che gli esperti in animazione digitale computerizzata di questo colosso da 7,4 miliardi di dollari non siano in grado di ricreare. Il nuovo capolavoro d'animazione è finalmente nelle sale italiane
Ratatouille: la nuova ricetta Disney-Pixar
Regia: Brad Bird, Jan Pinkava
Durata: 117′
Produzione: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures
Se non esiste una ricetta per il film d’animazione perfetto, è pur vero che da una decina d’anni a questa parte la Disney-Pixar non fa che dimostrare di esserne alla ricerca, con risultati, onore al merito, ogni volta più sorprendenti. A quanto pare non c’è ambientazione (il mondo dei giocattoli, una colonia di insetti, le profondità dell’oceano…) che gli esperti in animazione digitale computerizzata di questo colosso da 7,4 miliardi di dollari non siano in grado di ricreare dando allo spettatore la sensazione di trovarvisi immerso dal primo all’ultimo minuto dei suoi lungometraggi. E Ratatouille, una nuova storia sull’amicizia, il valore della famiglia ma soprattutto su quel “se puoi sognarlo, puoi farlo” che è possibile rintracciare in tutti i film nati in questa fabbrica di sogni, non è da meno.
E perché dovrebbe esserlo? Quasi quattro milioni e mezzo di euro d’incasso nel primo weekend in Italia (47.227.000 dollari negli USA), questo cartone da record ci catapulta nel mondo di Remy, il classico figlio minore preso dalle sue passioni, nella fattispecie l’alta cucina, che entra in conflitto generazionale con il padre, il quale invece desidererebbe per lui tutt’altra “carriera”, ma che grazie alla sua determinazione e al suo talento riuscirà a dimostrare che inseguire un sogno non è mai fatica sprecata. Metteteci che il nostro protagonista è un ratto di campagna che per uno scherzo del destino si ritrova di colpo in pieno centro a Parigi, proprio nelle cucine del ristorante di proprietà dello chef Auguste Gusteau suo idolo, ed ecco in tavola tutti gli ingredienti per un’avventura che è proprio il caso di definire “agile”, non fosse altro che per la perfetta riproduzione che gli animatori Pixar riescono a rendere dei movimenti dei piccoli roditori. E delle succulente pietanze preparate dagli esperti cuochi del “Gusteau’s”, tutto merito dei corsi di cucina cui i disegnatori sono stati obbligati a prendere parte, nonché di uno stratagemma particolare, che poi stratagemma non è, per cui più di 270 ricette sono state riprodotte dal vivo, poi fotografate per referenza e quindi mangiate per avere un’idea esatta di ciò che i personaggi della storia (quasi tutti cuochi o aspiranti tali) si sarebbero trovati a maneggiare. E come non prendere atto dell’abilità nel proporre dei giochi di luce perfetti, che poi è la vera rivoluzione di “Ratatouille” e ciò che rende questo cartoon un pezzo da collezione, gli infiniti modi in cui i cibi s’illuminano e restituiscono un’immagine che è difficile credere sia solo il fotogramma di un film d’animazione? Per non parlare delle centinaia di topi e ratti che corre voce abbiano invaso gli studi della Pixar per permettere ai disegnatori di studiare ogni loro movimento e rendere in maniera impressionante perfino la peluria sul corpo. A voler essere pignoli, ci sono uno o due punti poco chiari, come la straordinaria coincidenza per cui Remy, trasportato dalla corrente delle fogne, capita proprio in corrispondenza di Gusteau’s, o il misterioso meccanismo grazie al quale il ratto riesce a guidare il suo alterego umano in cucina tirandolo per i capelli.
Ma d’altra parte c’è appunto Linguini, il coprotagonista, sguattero imbranato che avrà la sua rivalsa; c’è un cuoco donna, Colette, l’unica figura femminile in un ambiente, quello dei grandi ristoranti, in cui (è lei stessa a confessarlo) non c’è posto per le donne (“You think cooking is a cute job, eh? Like mommy in the kitchen?” – Pensi che cucinare sia un lavoro carino, eh? Come mammina in cucina?) – è con lei che l’apparente maschilismo della pellicola si trasforma in una, seppure solo accennata, contestazione femminista (donna è anche Sharon Calahan, direttore della fotografia che oltretutto presta il suo nome alla marca della moto su cui va in giro l’unica eroina del film); c’è Skinner, un severo e opportunista Napoleone in miniatura che fa da capocuoco da “Gusteau’s” e che per via delle sue gaffes esilaranti non riusciamo ad odiare come dovremmo; c’è lo staff del ristorante, ricco di personaggi potenzialmente memorabili ma che purtroppo, probabilmente per una questione di tempo, non trovano spazio a sufficienza per esprimersi al meglio; c’è il biasimo ai critici, rappresentati dal lugubre esperto culinario Anton Ego, incaricato di recensire la nuova gestione del ristorante e che si scontrerà risolutivamente con il motto del defunto Auguste, “tutti possono cucinare”; c’è la regia di Brad Bird, che per la Pixar ha diretto anche “Gli Incredibili” (nonché l’indipendente “Il gigante di ferro”), che ha prestato la voce ad Edna Mode e che ha saputo trasferire con grazia parte di quello stile retrò anche su “Ratatouille”, adattandolo alla Parigi dei giorni nostri che però sa molto di bell’epoque quando ricorda la città de “Gli Aristogatti”; ci sono sketch davvero divertenti e mai alla ricerca disperata della risata facile, una sceneggiatura brillante e mai banale e perfino dei titoli di coda speciali, in uno stile tutto diverso da quello del film. Ovvero, non c’è nulla di prevedibile, nemmeno nel lieto fine. Ovvero, togliamoci il cappello e aspettiamo con ansia il dvd, certi che i contenuti speciali saranno almeno altrettanto meritevoli.
Curiosità: Il cognome Gusteau è l’anagramma del nome dello chef Auguste. Il suo ristorante si trova sulla sponda destra della senna, nel 5° distretto di Parigi. L’alimento più difficile da riprodurre per i disegnatori è stato il pane, per via della sua duplice natura: croccante fuori, morbido dentro. L’appartamento di Linguini si trova a Montmartre. Il nome di Skinner è una menzione dello psicologo del comportamento B. F. Skinner, famoso per i suoi esperimenti sui topi. Remy ha 1,150,070 peli sul corpo. Colette ha 176,030 capelli in testa. La voce originale del critico Anton Ego è di Peter O’Toole.
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