Rapporto Svimez: in Italia cresce solo il sottosviluppo

La decrescita economica in Italia, secondo l’odierno rapporto Svimez – l’istituto per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno – farà registrare un altro avanzamento del meno 1,9 per cento rispetto all’anno precedente che, a sua volta, era in recessione rispetto al 2011. L’indice di arretramento costituisce la media tra il meno 1,7 del Centro-Nord ed il 2,5 del Sud. (sotto, foto tratta da web.tiscali.it)

Già questa previsione ci fa meditare molto sulle previsioni incoraggianti che il professore Mario Monti ci assicurava che egli a quel tempo già vedeva la luce in fondo al tunnel della crisi. Che dire? Queste sono le glorie nazionali che il Capo dello Stato premia con la onorificenza di senatore a vita, affinché il loro contributo temporaneo, reso come capo del Governo ‘tecnico’, possa essere assicurato in via permanente nella Camera ‘Alta’ del nostro Parlamento. Bilderberg, ovvero la massoneria finanziaria internazionale non c’entra. Tra le ragioni del calo progressivo dell’economia nazionale lo Svimez indica:

a) il calo dei consumi pari a meno 2,8 per cento al Centro-Nord e meno 4,2 per cento al Sud;

b) il crollo degli investimenti pari a meno 5,4 al Centro-Nord e meno 11,3 per cento al Sud;

c) i redditi delle famiglie pari a meno 1,4 per cento al Centro-Nord e meno 2 per cento al Sud);

d) il calo delle esportazioni pari a meno 1 per cento al Centro Nord e meno 1,1 al Sud, più rilevante verso i Paesi dell’area euro.

Questi elementi assunti ad uno ad uno illustrano più di ogni altro dotto studio economico-finanziario qual è la vera crisi strutturale del Sistema-Italia

Il calo dei consumi. La ragione sta tutta nel contenimento dei salari e delle pensioni operato negli ultimi decenni che ha provocato il crescente fenomeno della povertà relativa e di quella assoluta. Cosa, questa, confermata dall’Istat. La precarietà del lavoro che non consente alcuna programmazione del futuro da parte dei giovani e non solo.

Quindi il crollo degli investimenti dovuto all’eccessiva tassazione sulle imprese. Le quali preferiscono delocalizzare le loro lavorazioni o, addirittura, trasferirsi, armi e bagagli, all’estero, dove sono attratti da minori pastoie burocratiche, meno tassazione e più basso costo del lavoro, Scuate se è poco!

Infine, il calo delle esportazioni dovuto alla dimensione delle imprese. Cioè il vanto della nostra economia, fondata sul modello diffuso delle piccole imprese, di fronte all’economia globale mostra tutti i suoi limiti di competitività e di fronte al restringersi del mercato interno finisce con il registrare la chiusura a catena della loro presenza.

Le poche attività che restano nel Paese dettano le loro condizioni e perciò restano libere d’inquinare (Ilva di Taranto) e di mortificare i diritti acquisiti in anni di dure lotte da parte dei lavoratori (Fiat-Chrisler).

Di fronte a questo sfascio che fa il Governo? Cincischia con l’Imu e, però, vieta agli studenti italiani di fumare nell’intervallo una sigaretta nell’atrio della propria scuola. Piuttosto che mettere in campo una politica economica volta a potenziare la dimensione delle imprese che costituiscono l’apparato produttivo italiano, specialmente nel Mezzogiorno, favorendo le aggregazioni di tipo consortile, privilegiando quelle operanti nei comparti tecnologicamente più avanzati ed avviando un piano massiccio di investimenti infrastrutturali nel Meridione a partire, per esempio, dalla banda larga.

Qual è la ragione per la quale qualsiasi progetto di dotazione infrastrutturale, sia esso di tipo materiale o immateriale, debba vedere il suo avvio al Centro-Nord per arrivare dopo anni in maniera residuale anche al Sud? E’ una procedura, questa, legata alla logica delle due italie che per 150 anni è stata tenacemente perseguita e che ha mostrato tutti i suoi limiti nello sviluppo impari del Paese. Per questa ragione abbiamo almeno la meta del territorio italiano scarsamente produttivo, ragione fondamentale dell’arretramento economico complessivo dell’Italia nel mercato globale.

All’impoverimento del Sud del territorio italiano hanno fortemente contribuito le misure di finanza pubblica messe in atto, prima dal Governo Monti e poi dal Governo Letta. Infatti, secondo lo Svimez, nel periodo 2012-2014 l’impatto negativo di queste manovre sul Prodotto nazionale è stato e sarà nelle previsioni del prossimo anno in media del 6,5 per cento, con un calo del 5,9 per cento al Centro-Nord e dell8.8 per cento al Sud. Ciò a causa de tagli che hanno inciso al Centro-Nord per il 2,9 per cento ed al Sud per il 5,7 per cento. Nel solo anno 2013 queste manovre toglieranno al Pil del Sud l’1.5 per cento mentre al Centro-Nord la perdita sarà dello 0.9 per cento.

Come è abbastanza evidente le prospettive, almeno quelle immediate, non sono rosee e, nostro malgrado, dovremo farcene una ragione, anche perché la nostra classe dirigente non ha gli attributi per far valere le ragioni del Sud ed in particolare quella siciliana che ‘ascara’ è nata ed ‘ascara’ continua ad essere.


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