Ragionando sulla sentenza della Corte dei Conti sul 118

La sentenza della Corte dei Conti per la Sicilia sullo scandalo del servizio 118, che ha condannato al pagamento di somme rilevanti non soltanto il presidente gli assessori di un passato Governo regionale, ma anche i componenti della sesta commissione dell’Ars (il riferimento, in entrambi i casi, è alla legislatura 2001-2006) fa discutere.

Di fatto, i componenti della commissione Sanità dell’epoca sono stati condannati per aver espresso un parere obbligatorio, ma non vincolante per il Governo regionale. Hanno detto “sì” alle assunzioni del personale nel servizio 118, queste assunzioni, secondo la magistratura contabile, hanno appesantito i costi di questo servizio con personale in esubero, e sono stati condannati assieme ad ex assessori regionali ed ex presidente.

Il coinvolgimento dei parlamentari che allora facevano parte della commissione Sanità dell’Ars nasce da una sentenza della Corte Costituzionale del dicembre del 2009. Una sentenza che, già allora, sembrò un po’ forzata, perché, alla fine, ha creato i presupposti per sanzionare non un atto amministrativo che ha provocato danno erariale – cosa legittima – ma un pronunciamento, quello di una commissione legislativa, che è politico.

Come fa un atto politico di una commissione legislativa di un Parlamento a diventare ‘amministrativo’? Non è esagerato affermare – almeno dal nostro punto di vista – che sia la sentenza della Corte Costituzionale del dicembre 2009, sia la sentenza di ieri della Corte dei Conti (che, ricordiamolo, ha ribaltato un pronunciamento di primo grado che aveva negato la presenza di danno erariale) risente dell’attuale momento politico.

In questa storia quasi tutto sembra esagerato. Sono state esagerata e clientelari – anzi, esageratamente clientelari – le assunzioni nel servizio 118 effettuate dalla politica siciliana a ridosso delle elezioni regionali del 2006. E’ esagerata la sentenza della Corte Costituzionale del 2009, che a nostro modesto avviso ha vulnerato la politica. Mentre è conseguenza delle prime due esagerazioni la sentenza di ieri della Corte dei Conti.

Alla base di tutto c’è una concezione distorta del ruolo dell’Ars che prende piede nei primi anni ’70 del secolo passato, quando alle commissioni legislative viene dato un ruolo di ‘Governo’, per consentire all’opposizione comunista dell’epoca di governare la Sicilia restando fuori dal Governo. I pareri delle commissioni legislative “obbligatori ma non vincolanti” vengono valorizzati in quegli anni. Quando non una sola nomina o una sola legge di spesa passava senza il parere positivo delle commissione legislative dell’Ars.

Forse è per questo che, nel 1997 viene approvata una legge regionale che stabilisce una certa responsabilità ai pareri, là dove avrebbero comportato atti amministrativi di spesa. Forse un tentativo di responsabilizzare chi decideva, spesso, insieme con i Governi.

Detto questo, la sentenza, colpendo i componenti di una commissione legislativa che hanno espresso un parere non vincolante per il Governo suscita qualche dubbio. E anche qualche interrogativo sul ruolo della politica: è possibile, oggi, fare politica con serenità se anche un parere, su un argomento di certo importante, può portare un parlamentare a pagare di tasca propria?

Anche l’argomento – il merito della questione – è un po’ ‘scivoloso’. Noi siamo convinti che quelle assunzioni sono state dettate, in parte, dal clientelismo. Però non possiamo fare a meno di ragionale sul tipo di servizio che il 118 assicura ai cittadini: un servizio a comando.

In teoria, anche un esercito costoso diventa inutile se non c’è una guerra. Per non parlare, per citare un altro esempio, dei Vigili del fuoco, che possono restare inattivi per settimane o mesi. Ma non per questo spendere risorse per l’esercito o per i Vigili del fuoco configura un danno erariale.

Viviamo, ormai, in un Paese dove, nel nome dell’Europa Unita e dei conti a posto, bisogna risparmiare su tutto. La politica sembra impegnata a togliere soldi ai cittadini, ma non a creare ricchezza. Dimenticando che, se non si crea ricchezza, diventa difficile pagare le tasse. Specie quelle italiane, tra le più ‘salate’ del mondo. Mario Monti e il suo Governo, in questo senso, hanno fatto scuola.

Tasse e Equitalia sono le parole d’ordine del nostro tempo. Un massacro per le famiglie e le imprese. Nel tritacarne, questa volta, sono finiti 17 rappresentanti della casta. Chiamati a pagare un conto salatissimo. Quasi una nemesi storica.  

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