Radio Rock per una notte

Alberto Surrentino, il gestore dell’Arena Argentina, è stato uno dei primi ad offrire il suo appoggio nella battaglia per salvare il “Learn by movies”, quando ancora nemmeno si sapeva se ce l’avremmo fatta. Che si fossero trovati i soldi o no, la rassegna ci sarebbe stata. Ma ad una condizione: doveva esserci “I love Radio Rock”. E come dargli torto? Non che il doppiaggio italiano sia disastroso, anzi, Francesco Pannofino rende alla perfezione la voce di Philip Seymour Hoffman. Semplicemente, perché è “I love Radio Rock”. Un film che ti entra nelle vene, ti scuote, ti trascina e stordisce a ritmo di risate, musica e libertà targata anni ’60. E, che ci crediate o no, è anche incredibilmemte epico e pure commovente. Esagero? Forse, ma chi ha già visto il film non è riuscito a rimanere indifferente di fronte a un’opera che non è la solita commedia british usa e getta.

Io stesso lo vidi poco meno di un anno fa e quasi per caso, in un’afosa serata d’Agosto, e da allora non mi sono più liberato di questa pellicola e della sua dannata colonna sonora. Fu proprio lì, all’arena Argentina, dove il “Learn by movies” proseguirà per gli ultimi tre appuntamenti. Non che ci fossi andato solo perché il biglietto era di un euro, anche se fu un ottimo incentivo. Avevo intravisto il trailer su internet, ma di campagna pubblicitaria nemmeno l’ombra per un film che se la meritava eccome, e che invece è finito relegato in poche sale per poi sparire in fretta. Misteri della distribuzione italiana. Fatto sta che quel venerdì sera l’arena era gremita oltre ogni aspettativa. Impossibile che fossimo tutti lì solo per il biglietto quasi gratis. C’era ben altro, e si poteva intuire dalla fila alla cassa che arrivava fino a via Umberto, si percepiva nel momento in cui la gente applaudiva entusiasta, fischiettava “Father and Son” di Cat Stevens, e finito il film desiderava rivederlo ancora.

“I love Radio Rock” sembra la risposta ad un bisogno taciuto che non può trattenersi in un periodo così cupo come il nostro, un desiderio di libertà incontrollabile, senza inibizioni. La libertà di dire un “Vaffa…” a tutto, di cantare a squarciagola, di scatenarsi ma anche di insegnare al mondo qualcosa, che la libertà in fin dei conti è un diritto. E la ciurma di “Radio Rock” lo difende con le note dei Beach Boys, di Jimi Hendrix e degli Who. Mentre un grigio governo britannico tenta in tutti modi di zittire quel branco di folli hippie asserragliati su una sghangerata nave. Che sia segno di un germe che striscia subdolo ancora oggi, pronto a sopprimere le voci diverse, anticonformiste, il rock e i “Vaffa…”? È forse per questo che “I love Radio Rock” genera tanto entusiasmo? Perché vogliamo disperatamente salire su quella nave e sfogarci una volta per tutte, o ci siamo già ma ancora non lo sappiamo?

Chissà, fatto sta che vi invito a non perdervi questo film straordinario: se lo avete già visto, è un’occasione per rivederlo con le voci originali degli attori. Se non lo avete visto, cogliete l’attimo e salite sulla “nave dell’amore”. E se vi verrà voglia di cantare a tutta birra “Eleonore” dei Turtles, significa che siete stati contagiati anche voi da “I love Radio Rock”. E, mi dispiace, non esiste cura.


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