Erano da poco passate le 18, quando un signore sulla settantina impegnato in un atto di autoerotismo si pianta davanti a una 27enne, da poco uscita dal lavoro e diretta a piedi a casa. Cioè, davanti a chi scrive. Solo uno dei casi che ricordo, dall'adolescenza a oggi, tra chi minimizza e chi si stupisce
Quell’anziano masturbatore di piazza Borgo «Ma veramente sono cose che succedono?»
Piazza Borgo alle 18 può essere un posto dal quale a una donna non fa piacere passare. Non credevo fosse possibile, l’ho scoperto ieri sera, mentre camminavo diretta a casa. Ero al telefono con un amico, stavamo discutendo, manco a dirlo, del referendum costituzionale, quando mi si para davanti un signore anziano. Un uomo vestito in modo non particolarmente trasandato, sulla settantina, alto e magro. Si era alzato da una panchina e aveva cominciato ad avvicinarmisi ma io non ci avevo neanche fatto caso, finché non era a un paio di metri da me e si masturbava. Mi fissava e, nella scarsa illuminazione di una delle piazze principali della città, pensava che fosse tollerabile masturbarsi davanti a una donna.
Io sono rimasta in silenzio. Ho provato a dribblarlo e lui mi ha seguita per un breve tratto di strada, sempre toccandosi. «Vedi cosa significa per una ragazza camminare in strada da sola? – sono sbottata al telefono – Che uno che potrebbe essere mio nonno mi molesta». Perché sì, è una molestia. E come tutte le molestie è disgustosa. Qualcuno e qualcuna, però, mi direbbe che non è successo niente, che sto esagerando. Perché in fondo queste cose sono sempre capitate e non è una violenza, mica mi ha messo le mani addosso, mica mi ha fatto qualcosa.
So che qualcuno me lo dirà perché anche quando andavo alle superiori era così. Qualche settimana fa, mi trovavo al bar con due amici. Due uomini di grande cultura e intelligenza, due persone che so essere sensibili sul tema della parità di genere e del contrasto alla violenza sulle donne. A un certo punto, di fronte al dehors dentro al quale discutevamo dei massimi sistemi, è passato un altro signore anziano. «Questo è certamente uno degli uomini più famosi di Catania», ho detto. Loro si sono girati e non l’avevano mai visto. «Qualunque adolescente della città lo ha visto almeno una volta – ho aggiunto – È il maniaco dell’autobus».
Quando prendevo il 721 (ora 621, da Nesima a piazza Stesicoro) o il 443 (da Monte Po alla Stazione centrale) per andare al liceo, lo incontravo quasi ogni giorno. Sebbene io abbia perso il conto delle palpatine, delle mani sui glutei, dei finti inciampi per sfiorarmi il seno, alcune cose le ricordo meglio di altre: l’uomo che, nella folla dell’ora di punta, fingeva di assecondare le oscillazioni del bus, finché non ha tirato fuori il pene per eiaculare sul sedile al quale io ero aggrappata. Oppure quell’altro che aveva fatto piangere una delle ragazze che incontravo tutte le mattine, perché mentre lei era seduta un ragazzo, sebbene tenendolo dentro ai pantaloni, glielo aveva quasi sbattuto in faccia. Lei aveva gridato, nella confusione delle 7.40, e quello era sceso alla fermata successiva, ridendo.
E poi c’era il maniaco dell’autobus di cui sopra, un’altra categoria: lui c’era sempre. Aspettava l’uscita dal liceo classico Mario Cutelli, raggiungeva piazza Trento e aspettava alla fermata. Saliva sul 721 e sceglieva la sua ragazza. Si appiccicava, a volte ansimava, parlava, litigava, tentava di attirare la tua attenzione e scendeva con te. Per un periodo quella ragazza sono stata io. Parliamo di un paio di settimane, non di più. Ma tutti i giorni, dopo scuola, lo incontravo. Per evitarlo salivo in piazza Trento e scendevo in viale XX settembre. Così lui rimaneva sul bus e io aspettavo quello successivo. Poi aveva capito il metodo, e scendeva in viale Regina Margherita, e me lo ritrovavo anche sull’autobus dopo.
Mia madre, alla quale lo avevo raccontato dopo un po’ di tempo – perché me ne vergognavo, e non sapevo come dirglielo, ero in imbarazzo anche se non ce n’era motivo -, mi rispondeva che stavo esagerando. Che era normale sull’autobus. Bastava non dare attenzione a questi pazzi, così si sarebbero dedicati ad altro, o altre. Mia sorella, più grande di me, rispondeva che erano meglio i vecchi maniaci che i vecchi di ritorno dalla pescheria col pesce e le cipolle. Sdrammatizzava, ma anche secondo lei era normale.
Qualche settimana fa, quando al bar coi due amici ho raccontato questa storia, uno di loro mi ha guardata sgranando gli occhi e mi ha chiesto: «Ma veramente alle ragazze succedono queste cose?». La notizia è che sì, succedono. Non solo quando hai 14 anni e sei sull’autobus. Anche quando ne hai 27 e cammini in centro. E no, non è normale. Né è una cosa da niente: è il mio diritto di non vedere un pene non richiesto, sbatacchiato senza che io possa fare niente per evitarlo.