Province: parla ex sindaco che ha fatto bacchettare Regione «Legge ingiusta e iniqua, presidenti non eletti dai cittadini»

La polemica scaturita dalla delibera della giunta regionale che ha fissato al 22 gennaio le elezioni dei presidenti di Liberi consorzi, ormai caduti nel dimenticatoio, non ha ancora esaurito la sua scia, anzi. Dopo la bacchettata da parte della Corte costituzionale, che non ha accolto il ricorso presentato dall’ex sindaco di Acicastello Filippo Drago, ma ha segnalato i problemi di costituzionalità dell’attuale legge e spingendo perché la Regione si doti di una nuova riforma elettorale. «Fin da bambino, ho sempre creduto che nella democrazia il primo punto fondamentale fosse l’esercizio del voto – dice Drago, ex deputato regionale e anche ex senatore, intervenuto durante la trasmissione Direttora d’aria su Radio Fantastica – Ci siamo ritrovati con un presidente della provincia che i cittadini della mia città, così come i cittadini degli altri 57 Comuni della provincia di Catania non avevano votato. Il ricorso nasce da qui».

«Nella provincia di Catania ci sono un milione di abitanti e il sindaco metropolitano ne rappresenta 300mila – continua Drago – mi sembra una legge iniqua e ingiusta. La Corte costituzionale invoca un’elezione diretta o un’elezione di secondo grado, purché si tratti di elezioni». Secondo l’ex sindaco, andare al voto con questo sistema «non ha più senso, ha invece senso presentare una riforma complessiva sia degli enti locali che del presidente della provincia e spiegare ai siciliani che la rappresentanza parte anzitutto dall’esercizio del diritto al voto». Ma questo è soltanto il primo di due ricorsi presentati dall’ex sindaco, l’altro riguarda proprio l’elezione del primo cittadino. «Oggi l’avere introdotto il fatto che il consigliere comunale trascina il sindaco è aver ricostruito un sistema di potere esterno agli interessi generali. Se si staccano i consiglieri comunali dall’elezione del sindaco ci potrà essere libertà nell’organizzare i propri governi, senza una pressione politica costante che può non riguardare gli interessi della città».

«Il problema è legato a monte al modo con cui vengono fatte le riforme che abbiano forti ripercussioni costituzionali da parte del legislatore – ha commentato Fabrizio Tigano, docente di Diritto amministrativo all’università di Messina, chiamato a dare un parere tecnico sulla questione – Il legislatore nazionale ha fatto una riforma parziale (la cosiddetta riforma Delrio, ndr). Il legislatore regionale, invece, è andato anche peggio: ha esercitato la propria competenza in attuazione dell’articolo 15 dello statuto, non solo in modo confusionario, ma dovendo ritornare sui principi della legge Delrio. Il risultato è che il legislatore regionale non ha fatto le riforme che doveva e le province sono rimaste commissariate a tempo quasi indeterminato e, adesso, dovrà intervenire e fare una riforma che ristabilisca intanto la democraticità».

Per il docente, il problema non è da sottovalutare. Anche perché le province hanno un ruolo ben definito: «Basta immaginare anche solo il tema della sicurezza pubblica, il rapporto con le prefetture, con gli uffici territoriali». Per Tigano, tuttavia, le elezioni del 22 gennaio potrebbero non essere tempo sprecato. «È comunque un passo in avanti, ma la sentenza è recente e la riflessione è ancora estremamente acerba. Potrebbe non essere un gravissimo vulnus un breve rinvio e le elezioni a gennaio non paralizzerebbero l’intervento del legislatore. Intanto usciamo dall’impasse. Se invece nel frattempo ci sono progetti di riforma che viaggiano speditamente – ha aggiunto – allora rinviare va bene. Il tema del sindaco delle città metropolitane è in qualche modo un pretesto per evidenziare queste discrasie che si sono venute a creare».

«La mia opinione è che, fermo restando le specifiche competenze dettate dallo statuto speciale, a livello politico le riforme devono essere adeguate – conclude il docente – non si fanno a prescindere e non si fanno a metà. Dobbiamo imparare a ragionare sulla nostra autonomia, che va fortemente ribadita proprio in questa fase, ma che deve essere coerente con un’organizzazione complessiva dello Stato, non perché è un obbligo necessario, ma perché ha un senso».


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