Il flop del referendum costituzionale. Chi, tra i deputati dell'Assemblea regionale siciliana, qualche giorno fa ha votato per tornare al suffragio universale, addebita al mancato quorum dell'appuntamento del 4 dicembre, le ragioni di questo dietro front. Che accomuna Pd, centristi e destre, con l'eccezione del Movimento 5 Stelle
Province, il ritorno al voto diretto e al gettone di presenza Quattro anni dopo quasi tutti i partiti hanno cambiato idea
Tecnicamente si tratta di un disegno di legge che regola le disposizioni elettorali in materia di Liberi Consorzi e Città Metropolitane, ma la legge che riporta le elezioni a suffragio universale nelle ex province siciliane, con tanto di gettone di presenza per gli eletti, di certo continuerà a fare discutere un bel po’. Intanto perché sembra essere la perfetta parabola dell’intera legislatura. Dall’annuncio dal salotto tv di Massimo Giletti, passando per le innumerevoli bocciature da parte di Roma, fino al ritorno al passato, più nella forma che nella sostanza.
Com’è possibile, si chiedono in molti, che chi meno di quattro anni fa ha votato l’abrogazione delle Province (e della loro rappresentanza politica), oggi invece abbia cambiato idea, approvando invece il ddl che ripristina il voto diretto per i consigli provinciali?
Ad approvare l’abrogazione delle ex Province nel 2014 sono stati il Pd, l’Udc (poi diventati Centristi per l’Europa), il Megafono e il Movimento Cinque Stelle. Ma soltanto questi ultimi hanno mantenuto il voto contrario al ritorno dei consigli provinciali eletti. Per il resto, a votare a favore in commissione sono stati praticamente tutti i partiti rappresentati nell’organismo parlamentare. I pentastellati Matteo Mangiacavallo e Salvo Siragusa, infatti, sono stati i soli a votare contro il provvedimento che, invece, ha ricevuto l’ok di Salvatore Cascio (Patto dei democratici-Sicilia Futura), Toto Cordaro (Grande Sud-Pid), Giovanni Panepinto e Pino Apprendi (in sostituzione) del Pd, Carmelo Currenti (Sicilia democratica), Giovanni Di Giacinto (Pse), Salvatore Lo Giudice (Patto dei democratici-Sicilia futura) e Francesco Rinaldi (Forza Italia).
E se per i Cinque Stelle si tratterebbe soltanto di un pretesto dei partiti tradizionali per aggirare il problema dei pochi posti disponibili nelle liste in vista delle regionali (gli scranni a Sala d’Ercole nella prossima legislatura saranno 70 e non più 90), è il segretario del Pd a chiarire la posizione del ritorno all’elezione diretta negli enti intermedi. Secondo Fausto Raciti, infatti, «la bocciatura del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre pone una questione oggettiva sull’abolizione o meno delle Province».
Dello stesso avviso anche Di Giacinto (Pse), secondo cui il tema «è proprio il referendum». «Per altro – sottolinea Di Giacinto – lo scorso 4 dicembre io ho votato a favore della riforma Boschi, al contrario dei grillini. Non hanno voluto l’abolizione delle province al referendum costituzionale e ora che cosa vogliono? Per tenerle la cosa migliore è ripristinare la democrazia diretta».
Secca la replica di Giancarlo Cancelleri: «Al referendum costituzionale credo che si sia andati a votare dicendo di no a un pericoloso accentramento dei poteri e all’abolizione di una delle Camere, fermando sul nascere la deriva di un uomo solo al comando. Non credo che gli italiani e i siciliani siano andati a votare per difendere le Province. Se oggi vogliono usare quel voto come grimaldello, lo facciano anche. Ma se ne dovranno assumere la responsabilità davanti agli elettori».
E intanto che fine fanno i servizi di cui si sono sempre occupati le province? Dalla manutenzione delle strade provinciali, ridotte ormai a colabrodo, fino ai servizi scolastici e agli istituti provinciali, i servizi una volta di competenza delle Province restano terra di nessuno.
«C’è un errore di fondo – ammette il presidente della commissione Affari Istituzionali all’Ars, Salvatore Cascio – e riguarda il principio secondo il quale quando si abolisce una cosa, bisogna avere idea di cosa si costruisce dopo. Qualcuno questo semplice principio dovrebbe spiegarlo anche a Roma. Naturalmente il ddl che è stato approvato in Commissione non supplisce questo difetto, agisce solo sul meccanismo elettorale e non sulle funzionalità della legge nata dal recepimento della Delrio». Insomma, quella di disciplinare finalmente le competenze e i servizi erogati sarà l’eredità del governo Crocetta che dovrà assumersi chi sarà eletto il prossimo 5 novembre.