Protezione civile e psicologo: collaborazione necessaria

di Claudia Corbari

“La più grande ricchezza del nostro paese è il volontariato, generoso e disponibile com’è. È una rete di solidarietà che costituisce una boccata d’ossigeno”
(Dacia Maraini).

Le continue catastrofi naturali e le emergenze sociali fanno spesso parlare di volontariato e, in particolar modo, di quello di Protezione civile in quanto costantemente presente nel territorio nazionale ed attivo nelle più svariate situazioni d’emergenza.

Si parla spesso di ciò che viene fatto, delle buone azioni dei volontari e, forse, qualcuno si chiede per quale ragione gente comune dovrebbe decidere di dedicare gran parte del proprio tempo a perfetti sconosciuti togliendolo ai propri cari. (a destra, foto tratta da rete.re.it)

La letteratura è ricca di ricerche psicologiche che indagano le motivazioni dei volontari e ci spiegano cosa si intende per volontariato, ma probabilmente una spiegazione da parte di importanti psicologi può aiutarci a comprendere di cosa si sta parlando.

Silvia Gattino e Piero Amerio, noti docenti dell’Università degli Studi di Torino, hanno affermato: “Al di là di tipologie e differenze, quello che tutto il volontariato sottende è un’idea forte di cittadinanza ed anche, in senso più generale, di democrazia. Il volontariato si configura come un individuo che partecipa attivamente alla vita della società e la cui azione è fonte di cambiamenti per la collettività. Un soggetto, dunque, in grado di agire nel sociale, modificandolo, secondo una progettualità che trova nel fare il proprio senso e conferisce un valore concreto a quella comunità della relazione e dell’interazione che appare come un necessario correttivo alla società globalistica in cui siamo immersi…” (Amerio, Gattino, 2000).

Il volontariato è un fenomeno che è possibile collocare tra l’aspetto clinico e quello politico: il primo emerge dall’azione di aiuto che lo caratterizza e il secondo, invece, dalla gestione dei problemi sociali.

In particolare, il volontariato di Protezione civile, fondamentale per lo Stato italiano in quanto risolutore di problemi rilevanti per il Paese ed in grado di sostenere la popolazione, viene oggi elogiato nonostante la mancanza di fondi.

Esistono molteplici corsi di aggiornamento e di formazione durante i quali si discute delle leggi che man mano entrano i vigore, dei regolamenti e di come ci si deve comportare in caso di emergenza; si parla di condizioni logistiche, di spostamento di mezzi di soccorso, di montare o smontare le tende all’interno di un campo, di come soddisfare i bisogni primari della popolazione in caso di emergenza e, infine, passa sottogamba quella che viene definita come “componente psicologica”.

Componente, questa, che probabilmente non viene neanche analizzata o che viene demandata ad altri tempi ed altre sedi. Ma viene da chiedersi: chi si occupa di questa “componente”? Chi dovrebbe farsi carico dell’aspetto relazionale e psicologico in un gruppo che, al suo interno, ha una logica definita da anni? E, infine, può la psicologia essere utile nella percezione del rischio, nella pianificazione e nella valutazione dello stesso rischio?

Negli ultimi anni si assiste a richieste sempre maggiori da parte di associazioni di volontariato circa la presenza degli psicologi; basti pensare che nell’ ‘Emergenza Emilia’ del maggio di quest’anno gli psicologi della Regione Piemonte, che hanno operato nel campo di San Giacomo Roncole, sono stati attivati dal dipartimento di Protezione civile con il mandato di supportare i volontari. Consapevoli di tale richiesta, ci si chiede allora come possano gli psicologi attivarsi e supportare costantemente i volontari.

Una riflessione più attenta ci fa supporre che la Psicologia dell’Emergenza non dovrebbe occuparsi esclusivamente del supporto psicologico ai volontari nel momento dell’emergenza, ma di una più specifica formazione finalizzata a far prendere maggior consapevolezza a coloro che partiranno in prima linea sia delle competenze logistiche per cui sono formati e specializzati, sia delle proprie emozioni e dimensioni relazionali.

La capacità di poter leggere i propri stati interni e la propria emotività non deve essere solo appannaggio degli studiosi delle discipline psicologiche, ma uno degli obiettivi dello psicologo dovrebbe proprio essere quello di facilitare la ‘lettura’ interiore dei propri vissuti e delle proprie emozioni.

Ci rendiamo quindi conto che la risposta ai quesiti posti precedentemente esiste e che oggi la collaborazione tra volontari con notevole esperienza e conoscenza circa la struttura della Protezione civile e lo psicologo esperto diventa necessaria al fine di effettuare interventi mirati e consapevoli per la popolazione e per i volontari stessi.

 

Riferimenti bibliografici

Arcidiacono A., “Volontariato e legami collettivi. Bisogni di comunità e relazione reciproca”,

Franco Angeli, Milano, 2004.

 


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