Il pensionato Luciano Giammellaro è stato condannato in primo grado all’ergastolo con l’accusa di avere ammazzato a colpi di fucile il 18enne Agatino Saraniti. Il più giovane dei ladri di arance uccisi la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 alla Piana di Catania, dove a perdere la vita era stato anche il compagno della madre, […]
Processo ladri di arance, perizia medica sull’imputato anziano per verificare capacità motorie
Il pensionato Luciano Giammellaro è stato condannato in primo grado all’ergastolo con l’accusa di avere ammazzato a colpi di fucile il 18enne Agatino Saraniti. Il più giovane dei ladri di arance uccisi la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 alla Piana di Catania, dove a perdere la vita era stato anche il compagno della madre, Massimo Casella. L’unico sopravvissuto è invece Gregorio Signorelli, diventato testimone chiave nel processo – in cui è imputato per duplice omicidio anche il custode del fondo agricolo Giuseppe Sallemi – che adesso è arrivato alle prime battute d’Appello. Durante la prima udienza, il legale di Giammellaro ha chiesto una perizia medica per il suo assistito: secondo la tesi della difesa, infatti, l’uomo – che all’epoca aveva già superato i 70 anni – non avrebbe potuto rincorrere il giovane Saraniti per ucciderlo. «Io non cammino, non ci sento bene e non mi sento bene», sono state le uniche parole pronunciate durante l’interrogatorio dal pensionato che continua a dichiararsi innocente. Un’istanza rigettata in primo grado che, invece, adesso è stata accolta dalla corte che ha anche già nominato un perito a cui è stato conferito l’incarico.
Dunque il processo riparte proprio con la fase istruttoria. Le operazione peritali sono iniziate oggi lunedì 27 febbraio. Giorno limite per la procura e per le parti civili per nominare un proprio perito di parte, cosa che il legale difensore ha già provveduto a fare. Intanto, il perito ha chiesto di essere autorizzato ad andare sui luoghi per ispezionare la vasta scena del crimine tra le campagne al confine tra i territori di Catania e Siracusa. Non solo, il professionista ha anche fatto richiesta di effettuare una visita medica a Giammellaro all’interno del carcere. Nella relazione che dovrà presentare e che verrà discussa durante la prossima udienza bisognerà chiarire se, all’epoca dei fatti di tre anni fa, l’imputato sarebbe stato in grado di compiere quell’azione dal punto di vista fisico. Per la difesa, infatti, avrebbe delle patologie che non glielo avrebbero consentito. Per questo, la Corte ha chiesto che il perito visioni e analizzi anche le immagini delle telecamere di videosorveglianza che riprendono Giammellaro – proprio la sera del duplice omicidio – in un bar della zona. Filmati che potrebbero fornire ulteriori elementi per valutare la capacità di movimento e di deambulazione dell’imputato.
Una versione alternativa era stata fornita da Sallemi che, in un primo momento, dopo essere stato arrestato, aveva dichiarato di avere agito da solo per legittima difesa. Confessione smentita dall’esito delle autopsie. Interrogato nel corso di una lunga udienza, l’imputato aveva invece ammesso che lui e Giammellaro non sarebbero stati gli unici a sparare quella notte. «A uccidere il ragazzino è stato il figlio di Giammellaro», anche lui custode di un terreno non distante ma che non è mai stato indagato. La presenza di questa terza persona era già stata anticipata da Signorelli nei giorni subito dopo i fatti in un’intervista esclusiva rilasciata a MeridioNews, mentre si trovava ancora ricoverato in ospedale, e poi confermata nell’incidente probatorio. Nella ricostruzione dell’accusa, Sallemi avrebbe sparato «in funzione di un accordo economico con Giammellaro che, però, poi sarebbe saltato».
Una questione che era già venuta fuori anche dalle intercettazioni. Sei ore di dialoghi registrati tra gli imputati e i familiari più stretti, in ospedale, in macchina e poi anche nelle sale colloqui del carcere. «Gli ho detto all’avvocato che io voglio fare una dichiarazione, gli voglio dire la verità – esordisce Giammellaro nel primo colloquio con la compagna e il figlio – Io ero nel bar che mi stavo mangiando un panino, mi sono arrivate le chiamate, io sono arrivato là, quello (Sallemi, ndr) si è innervosito e io me ne sono scappato che mi ero spaventato». Un discorso accompagnato da gesti che manifestano una forte perplessità. Tanto che persino la compagna sembra poco convinta di questa versione dei fatti. É la figlia di quest’ultima, il giorno delle autopsie, ad annunciare che: «Domani ci prendiamo un dispiacere». «Certo, se ora Luciano gli risulta… – risponde la compagna di Giammellaro facendo una previsione azzeccata – Lui dice che non è stato ma la cosa la vedo brutta, stanno rischiando che si fanno l’ergastolo tutti e due, perché i morti ci sono».