Premio Fava: per ricordare e per riflettere

Ogni anno il 5 gennaio ci si incontra alle 17 davanti alla lapide di Giuseppe Fava nella via di Catania che oggi porta il suo nome e in cui, ventiquattro anni fa, è stato ucciso dalla mafia. Da due anni quel giorno si consegna al centro Zo di Catania il Premio Nazionale Giuseppe Fava dal titolo: Nient’altro che la verità. Scritture e immagini contro le mafie che quest’anno è stato assegnato a Roberto Morrione, giornalista di lunga e impegnata carriera, oggi direttore di Libera Informazione.

Questa giornata e questo nostro incontro non deve essere solo il momento per ricordare l’uomo e il giornalista Fava, ma anche un’occasione per riflettere su cosa è cambiato e soprattutto su cosa deve ancora cambiare nella nostra città, dice Elena Fava durante l’incontro di commemorazione davanti alle telecamere di due giornalisti alla ricerca di una dichiarazione da parte di “uno dei familiari”. Chi sia quella bella signora infatti il giornalista non lo sa, glielo chiede distrattamente dopo aver avuto quello che voleva, tanto per sapere, e così scopre che è la figlia di Giuseppe Fava e il presidente della Fondazione che ha istituito il Premio di cui parlerà nel suo servizio. Giornalisti distratti, ma almeno c’erano. Passa da troppi anni in silenzio questo momento di ricordo e speriamo che questo sia, per quanto non brillante, il primo passo verso un cambiamento positivo.

C’erano circa ottanta persone, ma tra le facce dei figli e dei familiari, degli amici, dei colleghi non più tanto “carusi” che con Fava hanno lavorato e che da lui hanno imparato, troppo poche erano quelle giovani, per fortuna almeno in alcune di loro si leggeva chiaro il sogno di scrivere la verità per migliorare il mondo: è bello pensare che Fava ci parli ancora nonostante la mafia abbia voluto farlo tacere.

La stessa gente ha riempito alle 18 la sala del Centro Zo per assistere alla consegna del Premio e ascoltare le risposte alle domande fatte dal giornalista di Repubblica Domenico D’Auria agli ospiti della manifestazione: Claudio Fava, figlio di Giuseppe e europarlamentare, Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, Don Luigi Ciotti, prete e scrittore attivo per la lotta alla mafia, Giovanni Russo Spena, senatore e già membro della commissione parlamentare antimafia e naturalmente Roberto Morrione.

Tutti hanno sottolineato come il 2007 sia stato un anno positivo nella lotta alla mafia per i numerosi arresti compiuti e per gli esempi di impegno per la legalità dati dai giovani di Addio Pizzo e Lentini, dai commerciati che hanno denunciato i propri estorsori e da alcuni giornalisti come Livio Abate, non nascondendo però la preoccupazione per le difficoltà e le zone d’ombra che ancora ostacolano tale lotta.

La pubblicazione dei nomi dei commercianti palermitani che pagavano il pizzo citati nei pizzini del boss lo Piccolo ha messo a nudo un pezzo importante della società palermitana ed è stato giusto farlo, perché da sempre è il silenzio che accompagna la crescita mafiosa, dichiara Ivan Lo Bello ricordando il fragore enorme che ebbe il giornale di Fava I Siciliani proprio perché rompeva il tabù del silenzio e spiegando che a Palermo non si denuncia ancora, nonostante la pubblicazione, non per paura, ma a causa del radicato sistema culturale delle convenienze che si può distruggere solo diventando intolleranti nei suoi confronti e cercando di minare alla base i meccanismi che lo favoriscono, per esempio ripristinando le regole che salvaguardino la libertà d’impresa.

Si è parlato quindi della necessità dell’intervento dello Stato attraverso l’applicazione di nuove leggi che stabiliscano pene adeguate per i commercianti e le imprese che pagano il pizzo, dalla sospensione delle licenze fino alla non partecipazione alle gare d’appalto (proposta presentata nel decreto di legge Tano Grasso) e di quanto sia inquietante che ancora oggi non venga applicata, come ricorda Giovanni Russo Spena, la legge Mancino del ’93 che imponeva la creazione e l’utilizzo di strumenti come le banche dati per controllare le imprese e la loro formazione. Ci sono sicuramente dei segnali positivi in Sicilia, ma non è così in altre parti d’Italia, come per esempio in Calabria, e troppe sono ancora le resistenze e le zone grigie, sottolinea Don Ciotti citando quelli che lui definisce “i segni inquietanti” costituiti dalla cattiva burocrazia che interviene nel processo di confisca dei beni ai mafiosi, dallo spostamento dei magistrati, dalla questione rifiuti in Campania in cui è evidente una connivenza di camorra e politica, e dal problema delle testate giornalistiche mafiose.

Di giornalismo parla Morrione e dell’informazione in Sicilia che rispecchia sicuramente la crisi che sta vivendo tutta l’Italia, che è infatti al 40o posto per la libertà di stampa nella classifica di Reporters sans frontières. Durante i seminari che nei mesi scorsi abbiamo svolto nelle regioni occupate dalla mafia ho incontrato tanti giovani giornalisti soli e sfruttati, vittime di censura e autocensura, soprattutto a Catania, afferma il direttore di Libera Informazione ricordando il dominio incontrastato di Ciancio e la questione Repubblica. Ma c’è anche tanta voglia di fare rete – aggiunge – ed è importante sostenerla perché bisogna ricordare che la disinformazione agevola il sistema illegale.

Preoccupato si dice Claudio Fava che, riflettendo sulla situazione catanese, identifica uno dei problemi in quelli che suo padre chiamava “i comitati d’affari” che generano la collaborazione tra politica e mafia e che sono forti per due ragioni: il silenzio e l’impunità. Il silenzio è garanzia per i poteri forti, così come l’impunità giudiziaria. Catania ha scelto il patteggiamento nei confronti di questi poteri sostiene, criticando il lavoro della giustizia a Catania che non avvia inchieste e confermando la necessità di un Procuratore della Repubblica autonomo, anche se esterno all’ambito catanese, che stimoli azioni investigative. Guardandosi attorno oggi mio padre si chiederebbe chi sono coloro che vengono garantiti da Scapagnini, ed è un peccato che non ci sia più, dice Fava prima di spiegare la scelta della consegna del premio a Morrione.

Arriva così il momento della premiazione al giornalista che, dopo 40 anni di brillante carriera giornalistica, non decide di riposarsi ma di ricominciare daccapo con il progetto di Libera Informazione, proprio come ha fatto Giuseppe Fava con I Siciliani. In una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenta la forza essenziale della società, scriveva Fava nel numero dell’undici ottobre 1981 del Giornale del Sud e Morrione condivide questo pensiero.

Con Morrione quest’anno e Gatti l’anno scorso – aggiunge Claudio Fava – si vogliono premiare anche gli altri colleghi, quelli di Telecolor che sono stati licenziati e tutti quelli che mantengono in Sicilia la loro dignità. Speriamo che potremo far sì che anche qui il mestiere di giornalista continui ad essere fatto da gente con la schiena dritta.

Dopo aver ricevuto il premio, nel suo discorso di ringraziamento Morrione ha ricordato l’inizio della sua carriera iniziata nel 1963 e i suoi anni di lavoro in RAI che egli considera, nel bene e nel male, lo specchio del nostro paese: la sua crisi infatti riflette, secondo lui, quella della società e della politica italiana. Illuminare le zone buie del mondo è il compito del giornalista, dice e conclude con la dedica del premio a due persone: a Enzo Biagi, che fu il suo primo direttore, per l’esempio che gli ha dato quando gli diceva sempre io ho molti amici ma il mio giornale non ha nessun amico, e a suo padre che a 18 anni lasciò Palermo per arruolarsi nei carabinieri, con l’augurio invece che i giovani siciliani possano restare, vivere, crescere e lavorare nelle loro città.


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