Si sono riuniti lo scorso sabato, in una assemblea pubblica, i giovani legali che stanno facendo il percorso del praticantato per discutere delle nuova riforma forense. Sui rimborsi per le spese propongono il «modello Toscana» o un disegno di legge che dia a loro i fondi europei per lo sviluppo anche in Sicilia
Praticanti avvocati contro lo schiavismo forense «Chiediamo un compenso per il nostro lavoro»
Si sono riuniti per chiedere condizioni di lavoro dignitose. «Non siamo inutili e non siamo troppi», recita il loro manifesto. A dirlo sono i ragazzi e le ragazze del Consiglio nazionale praticanti & giovani avvocati (Cnpa) che, insieme al Comitato no riforma forense e generazione Ypsilon – un’associazione etnea che si occupa del diritto di accesso a internet – si sono riuniti per discutere della nuova riforma forense. «Ci sono tante cose che non vanno nella riforma del 2016 – afferma Andrea Costa -, giovane praticante avvocato di Catania ed esponente del comitato – Ma la questione più rilevante è certamente quella della mancanza di una normativa, a livello regionale, che preveda una qualsiasi forma di compenso o rimborso per i giovani laureati che svolgono l’attività di praticantato in uno studio legale».
I giovani professionisti chiedono, così, una regolamentazione che ricalchi il «modello Toscana», come lo definisce Andrea. «In Toscana, la Regione dà un contributo agli avvocati che assumono collaboratori di studio, e il contributo è fissato in proporzione al compenso che versano al praticante. Per esempio – spiega Costa -, la Regione Toscana versa 300 euro di contributi all’avvocato che paga il suo praticante 500 euro. Se fossimo veramente troppi – continua il giovane – non verremmo assunti per riempire gli studi. Invece, si acquistano sempre nuove sedie e nuove scrivanie per chi è disposto a lavorare gratis e con la sola speranza di un lavoro futuro ed eventuale».
La soluzione, secondo i tirocinanti, potrebbe trovarsi attraverso un disegno di legge volto a ottenere «la modifica della destinazione dei fondi europei per lo sviluppo, da indirizzare, anche in Sicilia, a un piano di supporto per i praticantati». Il codice deontologico forense prevede già, a livello nazionale, che dopo il primo semestre di collaborazione sia riconosciuto al praticante un «compenso adeguato», e in caso di violazione da parte del dominus, è prevista l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. «L’avvertimento è una sorta di pacca sulle spalle – spiega ancora Costa – e non sarà mai un deterrente per gli avvocati. Servono invece sanzioni più severe».
I giovani legali si sono rivolti alle istituzioni siciliane. «Ci aspettiamo che si apra un confronto su questo tema a livello regionale e nazionale, – conclude il giovane -questa è una situazione che non può appartenere a un sistema civile. Vogliamo sensibilizzare tutta l’opinione pubblica sulla questione dello schiavismo forense del XXI secolo, organizzando manifestazioni e sit-in con l’obiettivo di creare una coscienza collettiva. Abbiamo già avuto l’adesione dei praticanti di Bari, Napoli e Pisa».