«Possiamo essere il primo partito in provincia di Catania». Sul palco dell’auditorium di Misterbianco, davanti al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il padrone di casa Luca Sammartino blandisce il pubblico venuto soprattutto per lui, come si evince dall’applausometro inziale che lo vede primeggiare anche sul premier. Ad ascoltarlo in prima fila c’è il Pd etneo al completo: a tre giorni dal voto le spaccature che hanno tormentato i democratici negli ultimi mesi sembrano sparite. O messe sotto al tappeto: è il momento di serrare i ranghi. Conviene a tutti, o quasi. Alla coppia Sammartino-Valeria Sudano, candidati lui all’uninominale alla Camera e lei al Senato, pronta a conquistare un’altra vittoria che culminerebbe definitivamente la scalata ai vertici del partito, a suon di preferenze. Conviene a Enzo Bianco, che tra tre mesi tenterà di farsi rieleggere sindaco di Catania e che dovrà contare sulla forza elettorale dei due rampanti deputati. Conviene persino alla minoranza laburista del Pd catanese che all’indomani delle liste tuonava contro «la colonizzazione di forze esterne alla nostra storia», e che adesso però potrebbe entrare all’Assemblea regionale siciliana, nel caso in cui Sammartino conquistasse un seggio alla Camera.
«Domenica – arringa il premier Gentiloni, tornato nel Catanese a due settimane dall’ultima visita – non ci possono essere voti in libera uscita dal Pd, chi pensa di votare per ripicca contro qualcuno, si ricordi che fa un danno a Catania, alla Sicilia e al Paese intero. Serve la nostra unità perché il rischio che corriamo (con la vittoria del centrodestra o del Movimento 5 stelle ndr) è di andare completamente fuori strada, di mettere in discussione i fondamenti della società aperta che abbiamo costruito negli ultimi trent’anni».
E così all’appello di Gentiloni e Sammartino, candidato all’uninominale proprio a Misterbianco, rispondono tutti: c’è il sindaco di casa, Nino Di Guardo; gli ex deputati ed ex critici di area Cgil Angelo Villari e Concetta Raia; l’ex assessore regionale e deputato di area franceschiniana Anthony Barbagallo; ci sono ovviamente i candidati Giuseppe Berretta, Francesca Raciti e Francesca Ricotta. E c’è anche il più discusso degli ultimi giorni, Nicola D’Agostino, che arriva in ritardo e si accomoda accanto a Valeria Sudano. «Un caloroso abbraccio per la stima e il rispetto personale che mi lega a lui», lo ringrazia dal palco un ecumenico Sammartino che cita tutti i colleghi di partito.
Prima di lui, ad accendere il pubblico dell’auditorium Nelson Mandela ci pensa Di Guardo, vulcanico come da tradizione. «Gentiloni è simpatico a tutti perché basta guardarlo, è come si u cuntu non fussi u so». Il premier, supportato dalla traduzione di Bianco, apprezza. Il sindaco, anche lui ex critico nei confronti della coppia Sammartino-Sudano, alza i toni: «Questi giovanotti dei Cinque stelle che predicano onestà, onestà, onestà… Anche una gallina è onesta, ma non sa amministrare un pollaio». E ricordando come la struttura che ospita l’evento sia stata realizzata con i fondi europei del programma Urban II, definisce «da Tso» chi «vuole uscire dall’Europa».
I competitors esterni finiscono anche nel mirino di Sammartino: «Il contratto di Berlusconi ha tradito la mia generazione», dice prima di invocare lo spauracchio di un governo a duplice trazione Di Maio-Salvini, definito «da paura». Contro «il forte vento di centrodestra che si percepisce nel comune sentire» contrappone «una grande operazione di verità». «Noi deputati del Sud – continua, rivolgendosi direttamente a Gentiloni – non saremo col cappello in mano, non chiederemo favori per questa terra, ma diritti».
A proposito di diritti, avremmo voluto chiedere ai deputati Sammartino e Sudano un commento su quanto denunciato da questa testata a proposito del Caf di Catania gestito dal consigliere di circoscrizione Mario Tomasello e sulle richiesta di voti per il Pd contestuale al disbrigo delle pratiche per cui il patronato riceve fondi pubblici. «Continuate a divertirvi, io faccio campagna elettorale», è stata la risposta di Sudano. Mentre Sammartino ha rinviato la spiegazione a un momento successivo, per poi, tuttavia, andarsene.
Il finale spetta naturalmente a Gentiloni. «La nostra sfida nei prossimi cinque anni sarà trasformare un’economia che migliora in una società che migliora. Non possiamo correre il rischio – conclude – che l’Italia diventi un paese che non riconosciamo più, che limita i diritti, che impone il protezionismo e che semina odio».
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