Paternò, rubata effige votiva di Santa Barbara «Altarino voluto dopo guarigione da leucemia»

A Paternò non c’è pace né per santi, o per lo meno per i simboli che li rappresentano, né per i morti. Non si tratta di una frase fatta ma della tragica realtà di decadimento culturale che sta vivendo la città. Rubato la notte scorsa, all’interno dell’edicola votiva di via Canonico Renna, l’arazzo raffigurante Santa Barbara, patrona di Paternò, insieme alla cornice al cui interno era inserita l’effige della Santa di Nicodemia. Un tessuto poco importante dal punto di vista economico (nelle chiese lo si può acquistare con meno di 20 euro), ma che assume un grande significato emotivo per coloro che l’hanno realizzato. 

Sono due le ipotesi in questo momento al vaglio degli inquirenti: una ragazzata oppure un sfregio nei confronti della famiglia proprietaria dell’edicola votiva. La scoperta del furto è avvenuta due giorni fa dai residenti della zona che hanno visto il lucchetto, con il quale era chiusa la teca, buttato a terra. L’altarino si trova in quel posto da circa 25 anni e mai nessun l’aveva toccato fino a ora. Trovati sul marciapiede anche i fiori che abbellivano la struttura.

«L’altarino l’abbiamo voluto perché, grazie all’intercessione di Santa Barbara mio nipote, che all’epoca dei fatti aveva 10 anni, guarì dalla leucemia» racconta a MeridioNews la signora La Spina. «Ricordo che circa 25 anni addietro era malato – continua la signora – la sera della festa di Santa Barbara, il 4 dicembre, il fercolo passò davanti casa mia e il bimbo e la sua famiglia si trovavano da me. Il giovane alla vista della patrona volle salire sulla vara con padre Giuseppe Calabrò che per qualche munito lo tenne con se durante la processione».

Questa l’esperienza che, secondo la donna, avrebbe cambiato la vita del piccolo, guarito dopo pochi mesi dalla malattia. «Padre Calabrò ci disse che era guarito grazie all’intercessione di Santa Barbara – conclude l’anziana – Da quel momento abbiamo eretto quella edicola proprio per ingraziarla e pregarla». La signora non sa spiegarsi il perché di un simile gesto e lancia infine un appello affinché l’arazzo ritorni al suo posto.


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