C'era la faida fra il padrino dei Laudani Salvatore Rapisarda e il santapaoliano Turi Paredda dietro i fatti di sangue dell'estate di quattro anni fa. Non fu la morte del capo degli Alleruzzo-Assinnata a chiudere la scia di agguati, poi stoppata solo dall'operazione En plein del 2015. Il ruolo dei sei accusati dell'uccisione
Paternò, la guerra di mafia e l’omicidio Leanza Il ritorno del boss che fece saltare gli equilibri
L’estate del 2014, a Paternò, fu caratterizzata da una breve e sanguinosa guerra di mafia culminata nella morte del boss ergastolano Salvatore Leanza, detto Turi Paredda, legato al clan Alleruzzo-Assinnata, longa manu dei Santapaola in città. Il capomafia fu ammazzato alle 7 del mattino del 27 giugno mentre usciva da casa a bordo di un’Alfa Romeo 156 guidata dalla moglie. Era già stato condannato all’ergastolo per un omicidio commesso nel 1979 ad Adrano, condanna poi ridotta a 30 anni di carcere. Una volta terminata la reclusione, era stato affidato ai servizi sociali e quella mattina si stava recando a lavoro. I presunti esecutori materiali dell’omicidio, tutti ritenuti affiliati alla cosca Morabito-Rapisarda, storicamente legata al clan Laudani, sono stati arrestati oggi.
Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Catania avrebbero permesso di individuare in Salvatore Rapisarda, capo del Morabito- Rapisarda, il mandante dell’omicidio. Leanza era considerato il responsabile della morte, risalente al 1982, del fratello Alfio Rapisarda. Il rivale santapaoliano, peraltro, dopo la scarcerazione, aveva ripreso a guidare la famiglia, circondandosi di un gruppo di fedelissimi con l’obiettivo di prendere nuovamente il potere a Paternò. Del gran ritorno del boss ergastolano, che avrebbe così rotto gli equilibri criminali della città, si parla in relazione dell’antimafia.
Le dichiarazioni del pentito Francesco Musumarra, da aggiungere a quelle del neocollaboratore di giustizia Orazio Farina, hanno consentito di individuare da chi era composto il gruppo di fuoco che uccise Leanza: c’era lo stesso Musumarra assieme ad Alessandro Farina, Sebastiano Scalia, Francesco Peci. Quest’ultimo guidava l’auto usata dai killer che avrebbe dovuto bloccare l’eventuale fuga della vittima. In viale dei Platani, il luogo dell’agguato, c’erano anche Vincenzo Patti e Antonino Magro che, a bordo di un altro mezzo, avrebbero fatto da vedette. Antonino Barbagallo avrebbe, invece, partecipato alle fasi preliminari dell’omicidio, fornendo assistenza logistica.
Un mese dopo l’omicidio Leanza, anche un elemento vicino al boss ammazzato avrebbe dovuto essere tolto di mezzo. Dalle intercettazioni compiute in carcere, emerge l’incarico dato da Salvatore Rapisarda al proprio figlio, Vincenzo: eliminare il braccio destro di Turi Paredda, Antonino Giamblanco. Ѐ la mattina del 30 luglio 2014 quando vicino contrada Tiritì, in territorio di Motta Santa Anastasia, Giamblanco avrebbe notato una Fiat Uno bianca che lo seguiva. La vittima designata a quel punto sarebbe riuscita a scampare all’agguato. Quel giorno i carabinieri ritroveranno poco dopo, sulla strada provinciale 13, l’auto abbandonata e diversi bossoli sull’asfalto. Le pallottole erano di mitra, un M12 con silenziatore, sequestrato successivamente a Francesco Peci. In macchina stavolta sarebbero stati Musumarra, Farina e Scalia.
La guerra fu stoppata dall’operazione antimafia En plein, eseguita dai carabinieri di Paternò e dal comando provinciale nell’aprile del 2015. Vennero catturati in quell’occasione 16 presunti appartenenti ai clan Morabito- Rapisarda e Alleruzzo-Assinnata.