Palermo senza frontiere, per ricordare migranti morti «Il limbo del sistema di accoglienza produce dolore»

«È necessario mettere in discussione cos’è stata fino adesso l’accoglienza in Italia e quali sono invece il tipo di domande da chi arriva alla frontiera. Migrante economico, richiedente asilo, turista: anche queste sono categorie attraverso cui costruiamo l’altro, prodotto del nostro sentimento superbo di supremazia». A parlare è Ester Russo, di Medici Senza Frontiere, recentemente premiata dall’Human Rights Youth Organizazion per l’anno 2016 con il premio Rosa Parks «per il grande impegno profuso a favore dei diritti umani». Psicologa, attua il primo soccorso e poi collabora con i Cas dando supporto psicosociale agli ospiti; sin da giovanissima studia e approfondisce dall’interno il fenomeno delle migrazioni e soprattutto il modo in cui viene affrontato in Italia. Prima di tornare a Trapani col progetto Missione Italia, Ester ha vissuto per anni a Palermo, una città alla quale continua a rimanere affezionata. «Nonostante non sia la mia città natale – aggiunge – mi restituisce infatti l’importanza del legame con un posto dove ho costruito la mia professionalità e in cui certi legami hanno condizionato e determinato la mia identità. Rosa Parks è un nome importante, il premio mi sollecita ancora di più ad avere sempre presenti le questioni rilevanti e lasciare sullo sfondo il resto».

Ed è proprio nel capoluogo che Ester condividerà la propria esperienza questa sera: a partire dalle 21 al Cafè Internazionale in via san Basilio verrà dato spazio a Palermo senza Frontiere, un coordinamento di associazioni che da più di un anno scende in strada per ricordare i migranti morti e chiedere la verità sui desaparecidos alle frontiere d’Europa. Ne fanno parte i Laici e Laiche comboniani/e, Borderline Sicilia, il Forum Antirazzista Palermo, il Comitato Antirazzista Cobas, singole persone. 

Il tentativo portato avanti da persone come Ester è quello di uscire innanzitutto dalla marginalità dell’operatore sociale. Non a caso la psicologa sente di voler condividere il prestigioso premio ottenuto con molte altre persone. «La lotta per i diritti non può essere e non è mai un fatto privato e in questi anni ho portato avanti le cose in cui credevo dentro i movimenti antirazzisti palermitani, i coordinamenti, gli sportelli in città o grazie ai progetti di supporto alle persone in difficoltà. Non ho mai fatto nulla da sola e tante sono le persone che oggi, dietro le quinte, si spendono nel tentativo di attivare un cambiamento. Ecco: questo premio è nostro, non è mio».

Il freddo di questi giorni viene sentito ancora di più dentro i centri di accoglienza, dove le lacune vengono denunciate dagli stessi migranti, o nelle strade dove altri migranti continuano a vivere, in attesa di un permesso di soggiorno. Riflettendo su questo punto specifico Ester torna a riflettere a livello globale sulle migrazioni e su come vengono percepite e affrontate. «Non si può continuare a rispondere a un fenomeno così complesso, globale e diversificato continuando ad attuare politiche che si muovono esclusivamente secondo logiche riduttive (con enormi retaggi di tipo colonialista sullo sfondo) – aggiunge -. L’accoglienza in Italia in questi anni si è organizzata ed è stata pensata (se è stata pensata) dietro l‘alibi della risposta emergenziale, in maniera sempre più approssimativa con costi altissimi per gli ospiti o per i beneficiari, termini che mettono in crisi talvolta gli operatori stessi delle strutture, inermi di fronte alla sofferenza e al congelamento della vitalità di chi è lì ad attendere, a sostare. Questo vedo ogni giorno con il mio lavoro – conclude l’operatrice – il limbo mortifero del sistema di accoglienza produce un dolore indicibile, lontano dalle telecamere e dai discorsi social, invisibile e muto. Non si può di certo continuare a giocare con le esistenze delle persone, a far finta». 


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