Nei quartieri a rischio il successo è già fare entrare gli alunni in classe. Il testo targato Renzi-Giannini? «Ha aspetti positivi», ma il dito resta puntato sull’ingresso dei privati. «Il rischio è quello di creare scuole di serie A e di serie B».
Palermo, ‘presidi di frontiera’ «Una riforma in chiaroscuro»
Il successo per loro è già farli entrare a scuola. Perché la dispersione scolastica in quartieri come Brancaccio o lo Zen, a Palermo, è un regalo alla mafia. Lo sa bene Domenico Buccheri, vice preside dell’Istituto comprensivo Padre Pino Puglisi. «Investire nell’istruzione qui significa costruire il futuro, indicare una via diversa a chi l’alternativa non è abituato a vederla» dice a Meridionews. Insomma, sottrarre manovalanza a Cosa nostra. Nell’istituto intitolato al beato ucciso dai boss lui è arrivato 18 anni fa. E giura di non essersi mai pentito.
«Qualche momento di sconforto può esserci – ammette -, ma fino a quando avrò una risposta dal quartiere non mi arrenderò mai. Il nostro lavoro è fatto di dialogo». A 360 gradi e con tutti. «La collaborazione con la gente qui è importante, il giorno in cui ci vedranno come nemici allora significherà che abbiamo fallito». Il percorso è in salita, ma non impossibile. «La scuola a Brancaccio fu voluta fortemente dopo la morte di don Pino per far passare un messaggio: ‘Lo Stato è presente’ – spiega il vice preside -. Qualcuno, allora, la vide come una ‘caserma’, un ‘presidio’ militare. Da allora, però, molto è cambiato e oggi il rapporto con chi vive a Brancaccio è sereno. Abbiamo fatto una ‘politica di inclusione’ e spiegato ai ragazzi che siamo qui per loro».
E i risultati si vedono. «Le storie di riscatto sono tante – racconta -. C’è quella di un ragazzo che si è iscritto all’università, nonostante le scelte di vita sbagliate del padre. Nel quartiere tanti genitori sono in carcere e molti studenti a casa non hanno mai visto un libro. In classe hanno imparato il gusto di leggere e sono rimasti affascinati dalle storie raccontate nei libri. Questa è già una grande vittoria».
Il primo problema da affrontare in una scuola di un quartiere a rischio è «convincere i ragazzi a venire in classe – dice Daniela Lo Verde, preside dell’istituto comprensivo Giovanni Falcone del quartiere Zen -. Coinvolgere le famiglie, facendo capire loro l’importanza dell’istruzione. E poi rendere le lezioni e le materie il più pratiche possibili, perché questi studenti spesso non hanno nemmeno i libri e non sono abituati a stare seduti per ore a studiare».
La scommessa a Brancaccio è la normalità. «Qui l’ordinario è gestito come straordinario – dice ancora Buccheri -. I bambini vengono a scuola senza libri, senza merenda. Il più delle volte hanno una scarsa alfabetizzazione e sono estranei a qualsiasi tipo di regola. Così i docenti si trovano spesso a dover supplire le mancanze delle famiglie e, spesso, ad accompagnare anche i genitori in un percorso di riscatto sociale».
Il ddl di riforma? «Ha criticità, ma anche aspetti positivi, come la formazione degli insegnanti – spiega -. Oggi la classe docente è di alta qualità, ma una parte non si aggiorna, rifiuta di entrare in contatto con le nuove tecnologie, si dimostra ritrosa a qualsiasi forma di valutazione. L’obbligo di formazione contenuto nel testo è positivo». Convincono meno le questioni legate alla retribuzione economica, nel ddl «ancora nebulose» e, soprattutto, la questione dell’ingresso delle fondazioni nella scuola. «Se significa una ‘deresponsabilizzazione’ dello Stato, che dice ‘ci sono i privati adesso ve la vedete voi’ è un elemento negativo, perché la scuola dovrebbe garantire a tutti gli stessi standard a prescindere dal quartiere in cui sorge».
Il rischio è quello di creare scuole di serie A e di serie B. «Il finanziamento dei privati potrebbe essere un’opportunità bellissima – dice Lo Verde – a patto, però, che le risorse vengano destinate alla scuola come istituzione. Poi potrebbe essere compito del Miur assegnarle agli istituti più bisognosi. Questo passaggio eviterebbe di avvantaggiare i plessi più ricchi, che di quei soldi non avrebbero bisogno, e, soprattutto, eviterebbe che i privati, che investono in una scuola, chiedano poi una controparte, ad esempio una sponsorizzazione».
Per Anna Cannizzo e Carlo Baiamonte del liceo Scienze umane “U. Mursia” di Capaci (Palermo) ad essere sotto attacco, invece, è tutta la scuola italiana. Loro il ddl targato Renzi-Giannini lo bocciano senza appello. Dito puntato, soprattutto, contro «lo svilimento della rappresentanza studentesca e dei genitori» e contro gli «investimenti minimi» sull’edilizia scolastica, che lasciano le scuole in condizioni di degrado, con «classi troppo numerose perché si possa tenere conto dei bisogni di tutti e con docenti sottopagati». Senza tralasciare «il punto di maggiore debolezza» di tutto l’impianto del ddl: le risorse economiche, «tra le più basse d’Europa, dal governo indicate in una prospettiva non realistica, nella sponsorizzazione privata e nel contributo volontario di famiglie già stremate dalla crisi». «Protestiamo non perché riteniamo buona la scuola che abbiamo ma perché riteniamo pessima quella che Renzi vuole creare» concludono.