Si può uccidere per una bicicletta? nella palermo della violenza, dellidolatria della forza e della sopraffazione si può. Anni fa a un uomo estrassero la vita a forza di botte. La sua colpa: avere danneggiato unauto con una manovra errata. I suoi carnefici lo colpirono, fino a provocarne la morte, davanti alla moglie che li supplicava di fermarsi.
Palermo, morire per una bicicletta
Si può uccidere per una bicicletta? Nella Palermo della violenza, dellidolatria della forza e della sopraffazione si può. Anni fa a un uomo estrassero la vita a forza di botte. La sua colpa: avere danneggiato unauto con una manovra errata. I suoi carnefici lo colpirono, fino a provocarne la morte, davanti alla moglie che li supplicava di fermarsi.
Sagar Husein Suhag aveva 28 anni, era solo. Tornava dal lavoro. Con i risparmi aveva comprato una bici nuova, un suo piccolo sogno realizzato. Ogni giorno sui marciapiedi della città gruppi di ragazzi accerchiano alcuni loro coetanei, meglio se isolati, li minacciano, gli intimano di consegnare il giubbotto, il telefonino, gli occhiali e di non parlare, non denunciare. I più spavaldi e violenti cercano altro: una moto, una bici. Usano lo stesso metodo, la forza del numero, lesibizione di unarma, parole minacciose o frasi ingiuriose. Aspettano che qualcuno si allontani, percorra una strada solitaria e agiscono. Rivenderanno quello che rapinano per poche decine di euro nel florido mercato della merce rubata. E si vanteranno di quanto hanno fatto.
Sagar Husein Suhag non ha voluto cedere. Quella bicicletta era il suo orgoglio e non sopportava di perderla. Ha resistito, si è rifiutato, ed è stato accoltellato a morte. Ritornerà nel suo paese, il Bangladesh, dentro una bara. Qui sarà ricordato dalla sua comunità e dalle comunità delle altre etnie, come lennesimo esempio di violenza estrema verso gli immigrati.
La cronaca ha registrato, raccontato senza troppo rilievo e poi nulla. Eppure qualcosa di gravissimo è accaduto. La violenza gratuita, casuale. Quella che potrebbe toccare chiunque. Se gli inquirenti girassero per le scuole scoprirebbero che i numeri delle aggressioni subite sono ben superiori rispetto a quelli registrati nei commissariati di zona.
Non sono delitti mafiosi, destano meno attenzione e indignazione, ma arrivano da quellarea che guarda alla mafia come a un modello da inseguire e una meta da raggiungere. Prefetto, Sindaco e Questore dovrebbero alzare la guardia, coinvolgere le scuole, allertare i media. Il mito della violenza si sconfigge spezzando il silenzio con il fragore della parola.