Omicidio Mariella Cimò, Salvatore Di Grazia incastrato dai “gravi indizi di colpevolezza”

“Scrivo a te cara zia perché altro modo di riaverti non ho. Oggi ci sarà la seconda udienza, speriamo di arrivare presto alla verità, ma siamo anche consapevoli che l’angoscia che dovremo affrontare nel rivivere i tuoi ultimi giorni di vita, sarà devastante, anche se non sarà questo a piegarci”.

Parole di dolore e speranza, quelle che si leggono nella lettera che i nipoti di Mariella Cimò (nella foto a sinistra), Massimo Cicero e Antonella Cicero, scrivono alla loro amata zia, la donna siciliana sparita il 25 agosto 2011 dalla propria abitazione di San Gregorio (Catania).

Oggi, 16 aprile, è prevista la seconda udienza che vede alla sbarra Salvatore Di Grazia, 76 anni, come unico imputato per l’omicidio e la soppressione del cadavere della moglie.

L’uomo, difeso dall’avvocato Salvatore Rapisarda, era stato arrestato lo scorso 26 novembre con l’accusa di omicidio e soppressione di cadavere con l’aggravante del legame familiare e della crudeltà.

Pochi giorni dopo il Gip del Tribunale etneo, Alessandro Ricciardo, su richiesta della Procura della Repubblica, gli ha concesso gli arresti domiciliari.

Per gli inquirenti, la causa dell’omicidio sarebbe da ricercarsi nel rapporto dei due coniugi, che ultimamente non facevano altro che litigare a causa della condotta del signor Di Grazia, che la moglie considerava infedele.

L’uomo, infatti, intratteneva incontri galanti con donne molto più giovani di lui, incontrandole nell’autolavaggio di Aci Sant’Antonio, di proprietà della stessa Cimò. Fra queste c’era anche Giuseppa Grasso, l’addetta delle pulizie di casa Cimò, attualmente indagata per favoreggiamento.

I rapporti sessuali che i due consumavano, “avvenivano come ricompensa in natura”, nonché ‘restituzione’ dei soldi che di Grazia prestava spesso alla donna”. L’ultima somma ammontava a 550 euro.

E’ quanto ha affermato la governante durante la prima udienza del processo iniziato il 26 marzo scorso presso il Tribunale di Catania.

La Grasso dunque si sdebitava attraverso “esigenti prestazioni sessuali” più volte richieste dallo stesso Di Grazia, che come detto prima non voleva in cambio soldi, ma il suo corpo.

Da qui la decisione di Mariella Cimò di voler chiudere l’attività dell’autolavaggio per sempre. Questo, per gli inquirenti, il motivo da cui sarebbe scoppiata la violenta lite poi degenerata in omicidio.

Questo emerge da alcuni stralci dell’ordinanza del Tribunale per il Riesame di Catania, in cui si legge che “Di Grazia ha agito sotto la spinta di un impulso criminale elevatissimo fomentato da un’avversione ormai incontrollabile nei confronti di una moglie sempre più odiosa, soprattutto quando si determina a privarlo dell’autolavaggio, unica chance per Di Grazia, di sottrarsi ad una condizione di ultraquarantennale succubanza nel rapporto di coppia, dominato da Mariella, la cui ‘prevalenza’ è evocata efficacemente e più volte dallo stesso indagato”.

Altri indizi emergono dall’intensa attività telefonica tra la Grasso e Di Grazia, venuta alla luce tramite i tabulati telefonici e verificatasi proprio in quei giorni, in particolar modo la sera della scomparsa di Mariella.

“Cosa alquanto inusuale – raccontano i nipoti a LinkSicilia – perché la governante aveva il divieto di chiamare l’uomo in presenza della moglie”. (a destra, Salvatore Di Grazia)

Pertanto si ipotizza che in quelle ore Mariella già non c’era più.

Il giorno dopo la scomparsa della donna, le telecamere di sorveglianza delle ville adiacenti a quella della Cimò registrano un via vai continuo e sospetto di auto: una Skoda e una Fiat punto Bianca (quella del Di Grazia, seguita dalla Grasso).

Alle 7:39 del 25 agosto 2010 si vede Di Grazia uscire e tornare un’ora e mezza dopo, con un enorme mastello “ben visibile” sul porta pacchi dell’auto.

Alle 10:04 esce di casa senza la tinozza, poi esce e ritorna ancora altre tre volte sempre nel corso di quella mattinata. Ma di quel contenitore, secondo gli inquirenti servito per sbarazzarsi della moglie, non rimane alcuna traccia.

Per quanto riguarda Mariella, invece, viene ripresa dalle telecamere solo al suo rientro in casa, la sera del 24 agosto, senza mai più essere immortalata in uscita dalla villa. Particolare che confermerebbe che la donna non si sia mai allontanata da quella casa ‘autonomamente’.

Ma c’è un altro episodio che ha insospettito ancora di più gli inquirenti. Di Grazia e la governante hanno mostrato una chiara complicità e intesa, anche durante l’attesa avvenuta al comando della Caserma di Gravina, poco prima di essere interrogati.

E’ il 3 ottobre e i due vengono lasciati soli di proposito, inconsapevoli di essere ripresi.

Le immagini delle telecamere nascoste li immortalano mentre Di Grazia fa il cenno alla Grasso di “starsi zitta” e di non parlare, perché sa che in quel minuto potrebbero essere ascoltati.

Inoltre si vede lei “incrociare i polsi (fa il segnale delle manette) e lui con il cenno della mano indicarle di “stare calma”. Anche lei lo tranquillizza per confermargli di “non aver detto nulla”.

Un vero e proprio “linguaggio mafioso”, secondo gli inquirenti, dal quale tra i due si evince un tacito accordo.

A carico di Pina Grasso ci sono pesanti elementi indiziari che aggravano la sua posizione. E questo, per aver aiutato Salvatore Di Grazia nei giorni successivi alla scomparsa della moglie e per avergli fornito nuove schede telefoniche allo scopo di eludere le intercettazioni.

La Procura di Catania sembra non avere dubbi circa la colpevolezza di Salvatore Di Grazia, poiché “è stato capace di uccidere la moglie per motivi futili e abietti – scrivono gli inquirenti – legati alla volontà di garantirsi a tutti i costi un’indipendenza quotidiana non solo sessuale e la spietata e crudele determinazione di eliminare una persona con la quale aveva condiviso una lunghissima convivenza”.

Inoltre appare sospetta anche la sua condotta nel post factum, tant’è che “ha agito da lucidissimo assassino, manifestando una pronta reazione rispetto al delitto di cui si è reso responsabile, uscendo e rientrando da casa più volte nella giornata del 25 agosto, ostentando una tranquillità compatibile unicamente con la piena consapevolezza dell’uxoricidio, contattando più volte la compiacente domestica e amante, dandole appuntamento nella villa anche nella giornata del 26, asseritamente per elargirle un altro dei consueti prestiti e comunque, mai mostrando nel corso delle plurime dichiarazioni, un cedimento o un’esitazione in relazione alle proprie responsabilità”.

Si attende pertanto la seconda udienza di oggi. Massimo Cicero e Antonella Cicero, nipoti di Mariella, si dicono fiduciosi nella giustizia e sperano di arrivare presto alla verità affinchè venga ritrovato il corpo della loro amata zia.

“Ci sono dolori che non si possono né evitare, né cancellare – dicono -. Possiamo solo affrontarli e cercare di fare di tutto affinché non ci devastino. Ma talvolta ci vuole tanto tempo. Elaborare la perdita è un’operazione lunga e complessa. Si tratta non solo di accettare la realtà, ma anche di riconoscere veramente ciò che si è perduto, compresa la promessa di tutto quello che si sarebbe potuto e voluto vivere con chi non c’è più. Fare l’inventario di tutto quello che era stato investito, progettato, auspicato e sperato, e capire che non sarà più possibile realizzarlo”.

 

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