Omicidio Agostino, la famiglia cita l’ex poliziotto Paolilli «Depistaggio e furto di verità, un danno di 50mila euro»

«Ho voluto fortemente questa citazione». Vuole che si sappia soprattutto questo, Nunzia Agostino. Lei è la sorella dell’agente Nino Agostino, ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini. Una citazione diretta all’ex agente della mobile Guido Paolilli, indagato per favoreggiamento in concorso aggravato nel 2008, procedimento poi archiviato, e di nuovo nel 2010, con lo stesso esito. Ex amico e collega di Agostino, è tra i fedelissimi che Arnaldo La Barbera sceglie per indagare su quel delitto – prediligendo la pista passionale -, richiamandolo a Palermo, dal momento che da alcuni anni prestava servizio alla questura di Pescara. Le accuse mosse contro di lui, però, nel tempo sono andate incontro alla prescrizione. Ma la famiglia Agostino, adesso, chiede di saldare quel conto rimasto aperto e calcolato nella somma di 50mila euro. «Non sopporto che Paolilli sia riuscito, avvalendosi della prescrizione, a non pagare per quello che ha fatto – afferma Nunzia -. Distruggendo i documenti trovati a casa di mio fratello ha contribuito al depistaggio delle indagini. Depistaggio che ci ha portati a non avere giustizia, a permettere che su mio fratello venisse buttato fango a quintali».

Uno dei primissimi compiti di cui si incarica, infatti, Paolilli è quello di perquisire l’abitazione dei due coniugi uccisi. Deve trovare qualcosa, dei fogli, dei documenti di cui ha lasciato detto lo stesso Agostino. «Era accaduto che subito dopo la morte del figlio, il padre Vincenzo Agostino per la rabbia lanciò contro una parete il portafogli dell’agente ucciso e da lì fuoriuscì un bigliettino autografo col quale il poliziotto invitava, nel caso gli fosse accaduto qualcosa di grave, a ricercare gli appunti che custodiva a casa. In quei documenti si sarebbe trovata risposta all’accaduto», si legge nell’atto di citazione all’ex poliziotto a firma dell’avvocato della famiglia Agostino, Fabio Repici. Il contenuto di quegli appunti era dunque di importanza primaria per fare luce sul delitto stesso. Ma le perquisizioni non portano a niente. È, forse, quello che Nunzia si rimprovera più di tutto: avere accompagnato lei stessa Paolilli nella casa del fratello, pochi giorni dopo l’omicidio, per cercare quegli appunti. «Mi sono fidata, non riuscirò mai a perdonarmelo, mai».

Dei fogli dell’agente Agostino sparisce ogni traccia. Non si trova nulla nemmeno quando, in seguito, viene perquisita la casa di Paolilli. Svaniti nel nulla, puff. Eppure ci sono stati, sono esistiti. È lo stesso agente in pensione ad ammetterlo, non sapendo di essere intercettato. Nell’armadio di Nino c’era «una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ne ho stracciato». Lo dice al figlio Guerino, poliziotto anche lui, condannato l’anno scorso a tre anni e mezzo per aver brutalmente picchiato insieme ad altri agenti due fratelli intenti a litigare animatamente, durante un fermo nel 2009 a Venezia. Una condanna annullata solo pochi giorni dopo la sua lettura per via della prescrizione, che anche questa volta ha graziato un altro membro della famiglia Paolilli. Il discorso sull’agente Agostino esce fuori mentre guardano, in casa loro, la televisione: è il 21 febbraio 2008 e ospiti di una trasmissione televisiva ci sono i genitori del poliziotto ucciso, che ripercorrono i momenti dell’omicidio e le fasi iniziali delle perquisizioni.

Successivamente, però, Paolilli nega di fronte ai magistrati di aver mai pronunciato quella frase in riferimento all’agente Agostino e al suo omicidio. È alla luce di queste affermazioni che scatta il procedimento penale a suo carico del 2008. «Sennonché, in ragione del tempo trascorso dai fatti, la procura di Palermo, pur ritenendo l’odierno convenuto responsabile del delitto di favoreggiamento, il 16 dicembre 2013 dovette formulare richiesta di archiviazione per estinzione del reato per l’intervenuta prescrizione – spiega l’avvocato Repici nell’atto di citazione -. In quel documento, la procura segnalava come nell’ultima di tre perquisizioni effettuate fra il 5 e il 19 agosto 1989 dalla squadra mobile di Palermo, alla quale aveva preso parte Guido Paolilli, erano stati rinvenuti sei fogli manoscritti dal poliziotto Agostino e nei quali erano spiegate le ragioni per le quali l’agente temeva per la propria incolumità. Quei fogli, tuttavia, come attestato dall’intercettazione della conversazione fra Guido Paolilli e il figlio Guerino, erano stato distrutti dall’odierno convenuto, cosicché secondo la procura “appare di assoluta evidenza la responsabilità dell’indagato in ordine al reato a lui contestato che, però, risultando consumato nell’agosto del 1989, è estinto per intervenuta prescrizione”».

È stato, quindi, accertato in sede giudiziaria che Guido Paolilli si è reso responsabile di un vero e proprio «furto di verità», per dirla con Repici, che ha contribuito al mancato raggiungimento di una giustizia in questi 29 anni, causando anche enormi danni ai familiari. «Pertanto, Guido Paolilli è tenuto al risarcimento dei danni patiti dai congiunti di Antonino Agostino per effetto di quel furto di verità da lui compiuto». La cifra stabilita ammonta a 50mila euro, suddivisi in 16mila euro per ciascun genitore, di cui 15mila per il depistaggio e mille per la dispersione dei documenti e del loro contenuto; e seimila euro per ciascuno dei fratelli, suddivisi sulla base dello stesso calcolo. Vano il tentativo di mediazione del 24 settembre scorso, al quale Paolilli non si è nemmeno presentato. L’ex agente adesso dovrà comparire a fine febbraio in tribunale. «Se il giudice dovesse darci ragione, devolveremo questi soldi in beneficenza – rivela Nunzia -. Cercando di trasformare un gesto orrendo in qualcosa di buono».


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