E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI METTERE I PUNTINI ‘COSTITUZIONALI’ SULE “I”. OGNUNO DEVE FARE LA PROPRIA PARTE. SENZA INTERFERENZE
Il presidente della Repubblica – a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha negato la legittimità della legge elettorale in vigore dal 2006, denominata ‘Porcellum’, ha rilasciato alcune dichiarazioni nelle quali rileva che la stessa sentenza attribuisce al Parlamento la facoltà di potere legiferare in materia di normative elettorali. A questa notazione ha fatto seguire una considerazione che riteniamo addirittura inopportuna, visto che si configura come un giudizio politico e non costituzionale in relazione al tipo di legge elettorale che il Parlamento dovrebbe approvare. Detto in parole semplici, il Presidente Napolitano si è espresso non esattamente a favore del sistema elettorale proporzionale.
Ora a chi scrive queste esternazioni presidenziali appaiono non solo eccessive, ma anche improprie. Né ci convince l’assuefazione generale alle dichiarazioni presidenziali fuori luogo. Noi che dobbiamo la nostra maturazione politica all’osservanza della ‘Più bella del mondo’, come la definisce Roberto Benigni, non ci sentiamo di far passare per considerazione ‘tecnica’ una notazione squisitamente politica che non compete al Presidente della Repubblica, bensì al Parlamento.
Il Presidente della Repubblica nel riferirsi al referendum del 1993 trascura di rilevare che, in quell’occasione, fu proprio la Corte Costituzionale a ritenere quello che restava della legge elettorale allora in vigore, al netto degli emendamenti apportati dal referendum, idonea ad assicurare l’eleggibilità del Parlamento mediante la semplice determinazione dei collegi elettorali. E così nacque il maggioritario di collegio.
Di queste dichiarazioni presidenziali fuori luogo, che in verità hanno avuto inizio fin dai tempi della presidenza Cossiga, ne abbiamo piene le tasche e non ci sembra proprio il caso di adeguarsi ed abituarsi al debordare dalle competenze costituzionali per piaggeria nei confronti dei potenti.
Sulla questione relativa al metodo elettorale proporzionale che ha contrassegnato la cosiddetta Prima Repubblica ci piace osservare che mai più fu raggiunta la stabilità politica che ha contrassegnato i primi cinquant’anni della democrazia italiana. Quello che è avvenuto dal 1994 ad oggi testimonia l’esatto contrario, cioè instabilità politica permanente, ingovernabilità, continui rinvii di soluzioni politiche e di governo ed arretramento continuo e costante delle condizioni di vita e di credibilità internazionale del nostro Paese, nonché, in aggiunta, il continuo partecipare a guerre a qualunque latitudine e longitudine queste si presentino, attribuendo a tale partecipazione la qualifica di ‘interventi di pace’ o, peggio, di ‘guerre umanitarie’. E tutto ciò grazie al metodo elettorale maggioritario ed al presupposto sistema bipolare che è quanto di peggio le democrazie possano esprimere per rappresentare la volontà popolare.
Ci permettiamo a questo proposito di fare alcune brevi e semplici osservazioni.
La prima consiste nel fatto, storicamente accertato, che i sistemi bipolari segnano l’allontanamento graduale della partecipazione dell’elettorato al voto. La seconda è che la stabilità non si realizza con le semplificazioni. Questo perché le alleanze che occorre costruire hanno al proprio interno differenze e divisioni che si riflettono nella vita parlamentare e nell’azione di governo. La terza considerazione riguarda il frazionamento parlamentare, se non addirittura la parcellizzazione – degli schieramenti formatisi in vista delle elezioni.
A proposito della prima osservazione c’è da rilevare il voto ‘a dispetto’, nel senso che voto uno schieramento non perché mi rappresenti o mi convinca, ma perché non mi va che vinca lo schieramento opposto, ovvero come alternativa, mi astengo dal votare. Questo fenomeno è poi alla base dell’allontanamento dei cittadini dalla politica ed il crescente disamore per essa. Il che implica l’incremento e il dilagare della corruzione pur di acquisire un qualche consenso e talora anche un minimo di partecipazione popolare.
Sulla seconda osservazione – la stabilità dei governi – che si può sintetizzare nel termine ‘governabilità’, i governi che sono venuti a seguito del maggioritario-bipolare, per loro stessa ammissione, non hanno potuto governare per le differenze culturali e programmatiche che hanno caratterizzato le aggregazioni politiche che li hanno espressi. Taluno ha attribuito, ma questa può essere assunta all’incirca come una battuta, ai limiti costituzionali che regolano la vita dei governi, al di là della loro durata che è potuta essere più o meno lunga, ma comunque inconsistente.
Esattamente l’opposto di quanto avveniva nella Prima Repubblica, quando i governi duravano qualche mese, ma quel breve spazio di tempo registrava il meglio del loro contributo politico e programmatico. Gli esiti delle due esperienze sono li, storicamente, a dimostrarlo. Nei primi cinquant’anni progresso, sviluppo e credibilità internazionale; oggi decrescita, ampliamento della soglia di povertà e derisione internazionale ed ultimatum europei a strafottere.
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