Niente di nuovo sotto il cielo catanese

È stata poca l’affluenza agli incontri dedicati al mensile “I Siciliani”; pochi i giovani presenti, molti coloro che hanno letto e fatto il giornale fondato da Giuseppe Fava. Venerdì e sabato scorsi si è assistito più ad una commemorazione che ad una condivisione di un’esperienza giornalistica unica con le nuove generazioni.

“Questa, in fondo, è una provocazione alla città di Catania che ha una memoria corta” afferma Elena Fava, presidente della fondazione dedicata al padre. A partecipare a questi incontri sono stati i professionisti che hanno dato vita al progetto “I Siciliani”. Inevitabile la polemica che, ormai da anni, è chiamata in causa ad ogni appuntamento: l’ostruzionismo che il giornale locale La Sicilia fa nei confronti della Fondazione. “Si è voluto rimuovere la memoria” dice Antonio Roccuzzo. “I carusi raccontavano la città così come la vedevano e le cose di cui nessuno parlava. Questo mensile ha registrato il cambiamento antropologico di nostro territorio”.

Antonio Pioletti, pro-rettore dell’ateneo catanese, afferma che sicuramente un segnale positivo è quello che sta cercando di dare l’università: “Fino a non molto tempo fa non si parlava di Giuseppe Fava, del suo lavoro. Abbiamo dovuto attendere quindici anni per avere intitolata una via a questo straordinario giornalista. Oggi, per fortuna, c’è una maggiore consapevolezza del passato”.

Per Michele Gambino, l’esperienza della rivista è arrivata a metà tra due modi diversi di fare giornalismo: “Quello prettamente ideologico, che risaliva agli anni precedenti e quello – che è venuto dopo e che oggi impera – che serve a riempire gli spazi tra una pubblicità e l’altra”.

Non ha avuto molto successo neanche l’incontro con le testate giornalistiche studentesche, al quale hanno partecipato solamente Megaron e Step1. A moderare l’incontro è stato Gianfranco Faillaci: “I Siciliani hanno rappresentato una parte importante del giornalismo catanese. Dopo i fatti del 5 gennaio si è assistito ad un risveglio della città e ad una presa di coscienza della realtà”.

“E’ stata un’esperienza irripetibile e soprattutto è stata una bella avventura. Se guardo oggi com’è Catania, posso solamente dire che non è cambiato nulla in tutti questi anni” dice Roccuzzo. La mancanza di un mercato editoriale è, per il giornalista, una grossa piaga che vanifica ogni tentativo di informazione.

Cettina Centamore ha ricordato la sua esperienza parlando di “un progetto che non voleva essere oggetto di proprietà”, che voleva essere libero. “Doveva essere il pensiero siciliano – prosegue – che veniva fuori liberamente, anche da questa regione”.

I giovani aspiranti giornalisti che hanno partecipato all’incontro di sabato sono stati messi in guardia da un imperante scetticismo e pessimismo su questa professione. “Per accedere all’Ordine dovete andare alle scuole di giornalismo: è la maniera più veloce per arrivare agli esami di professionista” afferma Roccuzzo. Michele Gambino, invece, ha discusso della realtà dell’informazione diffusa a Catania consigliando di superare gli individualismi di piccole realtà giornalistiche che inesorabilmente finirebbero per scomparire in quanto deboli.

Di certo è necessaria una profonda riflessione sull’informazione a Catania, ma nonostante lo scetticismo espresso da alcuni esponenti storici del gruppo dei Siciliani, i giovani hanno ancora voglia di confrontarsi con questo mestiere e hanno voglia di far sentire un’altra voce in questa città.


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