‘Ndrangheta, un altro giornalista sotto scorta La storia di Giovanni Tizian

La famiglia Tizian ha una storia lunga 22 anni con la ‘ndrangheta. È fatta di vittime e carnefici, che si trasmette di padre in figlio. Giovanni Tizian ha 29 anni e fa il giornalista precario alla Gazzetta di Modena. Da 15 giorni è sotto scorta, perché scrive di mafia e i magistrati hanno deciso di tutelarlo, di dargli due agenti armati e uno in borghese che seguano i suoi movimenti, che lo proteggano. Affinché non diventi una vittima della mafia. Come suo padre, Peppe Tizian, ucciso il 23 ottobre del 1989 sulla strada statale 106. «Quella di Giovanni è una storia familiare, oltre che professionale, piuttosto travagliata», spiega Danilo Chirico, presidente di daSud Onlus, l’associazione antimafie nata in Calabria nel 2005. Tra i suoi fondatori, anche Giovanni Tizian, che un anno dopo ha cominciato la sua attività giornalistica a Modena.

«Aveva sette anni quando suo padre non è più tornato a casa», racconta Chirico. Era un funzionario di banca, lavorava alla Monte dei Paschi di Siena a Locri e si occupava dei fidi. Quando l’hanno ammazzato, stava tornando a casa, a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, quando un commando gli s’è affiancato con l’auto e gli ha sparato. La macchina di Peppe Tizian ha sbandato ed è andata a schiantarsi contro un muro. Per quell’omicidio, non c’è ancora nessun colpevole. «Gli investigatori hanno definito il suo lavoro integerrimo – spiega ancora Chirico – probabilmente l’hanno punito perché ha detto un no di troppo, visto che si occupava di investire i soldi della sua filiale».

Adesso, ad avere a che fare con la mafia c’è suo figlio. Da pubblicista, si legge sulla Gazzetta di Modena, «collabora anche con Linkiesta e Narcomafie, la rivista del gruppo Abele di don Luigi Ciotti». «A dicembre – si legge ancora sul quotidiano modenese – ha pubblicato un libro sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia del Nord». Si parla di soldi, «come vengono investiti, quali settori sono più esposti al riciclaggio, quali metodi e strategie sono adottate per ripulire il denaro sporco». «Una realtà – scrive il giornale – le cui dimensioni sono state spesso sottovalutate e che viene descritta con dovizia di particolari».

Adesso attorno a Giovanni Tizian daSud tenta di costruire una rete di solidarietà: «È un precario, non ha le tutele che avrebbe qualunque altro giornalista con un contratto diverso», sostiene Chirico, che il giorno in cui Tizian ha raccontato di chi era figlio ce lo ha ben presente. «Era il 2008, durante la Lunga marcia della memoria che organizziamo annualmente». Un percorso sull’Aspromonte, che passa da Pietra Cappa, il posto in cui hanno trovato il corpo di Lollò Cartisano, fotografo rapito e poi ucciso dalla ‘ndrangheta. «Lì davanti – ricorda il presidente dell’associazione – Giovanni ha reso nota per la prima volta la sua storia».

«Cinque anni dopo l’omicidio di mio padre ci siamo trasferiti a Modena per cercare di ricostruire la serenità e la tranquillità che non avevamo avuto in Calabria», dice Giovanni in un’intervista rilasciata a un collega. «In uno dei suoi ultimi articoli – conclude Danilo Chirico – denuncia l’assenza di una sede distaccata della direzione nazionale antimafia in Emilia Romagna, nonostante la presenza pressante di ‘ndrangheta e camorra». Nonostante la scorta, il giornalista non ha dubbi: «Cerco di trovare il modo di continuare a fare questo mestiere, e sono sicuro che lo troverò – e continua – Non penso che un giornalista possa cambiare il mondo, ma credo nell’utilità sociale del mestiere di giornalista».

Luisa Santangelo

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