In unintervista telefonica concessa a Radio Zammù, la cantante partenopea Maria Nazionale racconta la sua esperienza di attrice nel film di Matteo Garrone Gomorra, tratto dal best seller di Roberto Saviano e premiato dalla giuria del Festival del Cinema di Cannes
Napoli non è tutta così
“Nel film tanta realtà, ma Napoli non è tutta così. Bisogna far capire alla gente di Scampia che esiste un modo diverso di vivere rispetto a quello che loro conoscono”. Maria Nazionale, famosa cantante napoletana, racconta ai microfoni di Radio Zammù il dietro le quinte della pellicola che ha scioccato il pubblico di Cannes mettendo in scena la cruda realtà delle guerre di camorra. Il suo personaggio è Maria, una madre disperata a causa della scelta del figlio di entrare a far parte della criminalità organizzata di Scampia.
Quando si sta sul set non si ha mai una visione d’insieme di ciò che il regista vuole raccontare…
Credo che il regista abbia voluto tirare fuori l’animo dei napoletani, soprattutto di una parte di Napoli abbandonata a se stessa, gente che ha bisogno di aiuto. Credo che abbia voluto mettere in luce tutto questo anche per dare una mano a queste persone.
Nel film viene creata un’atmosfera di quasi normalità calata in situazioni di assoluta violenza. Tu sei campana. Secondo te il film comunica la realtà o va un po’ oltre?
Purtroppo nel film c’è tanta realtà, ma Napoli non è tutta così. Io spero un giorno di leggere questa realtà come una pagina di cronaca, di storia. Bisogna far capire a questa gente che esiste un modo di vivere diverso rispetto a quello che loro conoscono.
Il tuo è un personaggio particolare, che vive a Scampia e si trova implicato nella guerra di camorra, quella degli scissionisti.
Il mio personaggio rappresenta l’animo delle donne di Scampia. Io sono moglie di un boss che non si vedrà mai nel film perché è in prigione e ho un figlio che è in disaccordo con tutto quello che succede intorno a lui e decide di schierarsi dalla parte degli scissionisti.
Emerge la tua interazione con Totò. Siete molto realistici, sia nella recitazione che nei movimenti. Qual è stato il lavoro del regista sul tuo personaggio e su quello di Totò?
Siamo molto veri. Matteo ha fatto sì che non ci fosse un copione per cercare di tirare fuori il vero dagli attori. Inoltre l’intenzione è stata quella di creare una contrapposizione tra l’animo della donna e quello della madre e di esprimere il modo in cui entrambi potessero influire sulle scelte del ragazzino.
Una scena che colpisce molto è proprio quella in cui Totò finisce per tradirti, quasi un pugno nello stomaco.
Anche questo fa parte delle storie vere di Napoli. Tutto quello che vediamo nel film è composto da frammenti di verità.
Il tuo è un personaggio che all’interno del film sta a metà: interagisci con Totò e con il “galoppino” allo stesso tempo.
Non è stato facile. Ma bastava guardarsi un attimo intorno e carpire il calore di queste persone per cercare di tirare fuori il meglio di me.
C’è una differenza tra il libro e il film. Mentre Saviano fa un’analisi economico-strutturale del mondo della camorra, Garrone fa una scelta diversa: decide di seguire le vicende di alcuni personaggi attraverso i loro occhi. La scelta è stata ben determinata?
A mio parere sì. Inizialmente Matteo aveva pensato di realizzare altre scene. Ma poi ne sono venute fuori alcune molto vere e ha deciso di lasciare quelle. Nel raccontare, è stato aiutato anche dagli stessi abitanti di Scampia. La finalità ultima è stata quella di fare informazione.
Spesso nel mondo l’Italia è nota per la malavita organizzata. Che impatto ha avuto il film a Cannes sul pubblico straniero?
Ha avuto un impatto fortissimo. Eravamo molto emozionati, certamente avevamo anche un po’ di paura, perché non sapevamo come il film avrebbe potuto essere accolto. Invece devo dire che quando c’è stato l’applauso che incalzava man mano, che cresceva, vedere 2500 persone in piedi per più di cinque minuti, sinceramente ci siamo sciolti come il burro. Canto da più di 20 anni e non ho mai provato un’emozione simile.
Sei anche un’interprete della musica napoletana. Questo era il tuo primo ruolo per il cinema.
Per me è stata un’esperienza bellissima e anche di grande soddisfazione.
Vuoi continuare a fare l’attrice?
Sì, perché mi sono divertita, mi è piaciuto da matti. Ho fatto teatro ma il cinema è completamente diverso, ci sono degli input differenti. Era tutto magico.
Garrone ha fatto delle scelte tecniche particolari: la camera a mano, muovere l’inquadratura tra i personaggi che dialogano, la scelta di sfuocare ciò che avviene intorno, creando un senso di disorientamento. Sono scelte coraggiose, soprattutto quella di presentare una realtà che appare normale mentre invece è molto strana.
Matteo lavora con grande professionalità. È stato molto coraggioso e le sue scelte sono state finalizzate a tirare fuori soprattutto il dramma delle situazioni.
Il film ha questa capacità di comunicare una realtà dura. Ma si è visto, in alcuni episodi, anche un barlume di speranza.
Io vedo un barlume di speranza soprattutto in una delle scene finali, quando Roberto abbandona il personaggio interpretato da Tony Servillo.
La scena in cui Don Ciro va via dopo il regolamento di conti degli scissionisti, è in silenzio e riprende dall’alto la strage, per poi passare ai rumori della città. Una sorta di liberazione.
Io la interpreto più come una paura: Don Ciro vorrebbe uscire fuori da questo mondo ma non può. Una volta entrati, è difficile uscirne.
[Intervista concessa a “Ritorno al futuro”, approfondimento cinematrografico di Radio Zammù, a cura di Alberto Conti e Davide Brusà]