La legge di stabilità è stata approvata in giunta, il bilancio ormai è alle porte, nonostante il caos delle commissioni in attesa di rinnovo dopo la decisione del presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Miccichè di programmare, a pochi mesi dalla fine del mandato, una consuetudine che di solito si fa a metà legislatura. Il governo di Nello Musumeci si appresta così a concludere anche quest’ultimo capitolo della sua esperienza a palazzo d’Orleans. Un’esperienza che, secondo più voci, potrebbe chiudersi anzitempo. Lo avrebbe chiesto a Musumeci parte del suo partito nazionale di riferimento: Fratelli d’Italia, entrato nel vortice della labirintite che da qualche mese ha colpito il centrodestra, smarrito e frazionato, con quello di Giorgia Meloni, che pure sulla carta sarebbe il primo partito quanto a consensi, messo quasi alla berlina per il sostegno dimostrato al governatore.
Ormai, però, la guerra è aperta su tutti i fronti. Non è più soltanto una questione di pro e contro Musumeci, ma da Roma non è certo stato gradito dai partiti di coalizione che con le loro uscite hanno messo in discussione la posizione di leadership nel centrodestra dei meloniani, scatenando a catena una serie di battaglie di principio. Per questo la richiesta – non si sa ancora quanto veritiera – presentata a Musumeci, di pensare alle dimissioni: un atto del genere comporterebbe la necessità di accelerare bruscamente tutto il processo che porta alle elezioni, persino di anticipare la data del voto. E vista la scarsa capacità del centrodestra di trovare convergenza su un unico candidato dimostrata a Palermo, figlia anch’essa dei tanti attriti sul piano regionale, sarebbe una soluzione che non solo non piacerebbe a nessuno ma potrebbe favorire il ripiegamento – volenti o nolenti – su Musumeci. Fantapolitica. Almeno al momento.
Anzitutto perché c’è da considerare il carattere di Musumeci. Il presidente della Regione ha detto più volte di essere orgoglioso di quanto ottenuto in questi cinque anni e mai si sognerebbe di prendere armi e bagagli e lasciare vacante la guida di una regione che non ha ancora approvato il bilancio. Tra poco la giunta si riunirà, ufficialmente, per limare altri dettagli tecnici della legge di stabilità – anche se all’ordine del giorno c’è pure il punto «comunicazioni del presidente», che può volere dire tutto e niente. Poi il ddl dovrà passare per sala d’Ercole, dove sarà votato dall’Assemblea regionale. Dopo di che toccherà al bilancio, ma i tempi potrebbero – e dovranno – essere non così dilatati. Se ne parlerà comunque ai primi di maggio, troppo tardi per rimescolare le carte su Palermo, dove il termine di presentazione delle candidature, firme comprese, è fissato per il 18 maggio. E difficilmente, perso il treno della proposta unitaria sulla quinta città d’Italia, cosa che potrebbe costare cara a un centrodestra già uscito malconcio dalle altre amministrative nei grandi capoluoghi italiani, ci saranno margini di dialogo.
Più facile al momento pare la possibilità che, dopo le elezioni palermitane, i vincitori sul banco delle preferenze ottengano l’onore delle armi degli sconfitti, che a quel punto appoggerebbero la proposta avversaria. Anche se in politica si sa: non perde mai nessuno. Insomma, dopo mesi di attesa, la scelta dei partiti di centrodestra sembra essere ancora una volta quella dell’attendismo, con Forza Italia e Lega che proveranno ancora a convincere Giorgia Meloni ad abbandonare Musumeci e a quel punto anche Carolina Varchi, candidata sindaca di Palermo, magari concedendo ugualmente la presidenza della Regione, con Raffaele Stancanelli che risulta essere sempre il nome buono per ogni occasione. Ma, anche in questo caso, sarebbe difficile vedere Musumeci accettare la resa.
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