Morto dopo essere stato immobilizzato dai carabinieri Ex moglie: «Lotto per la verità per amore di mia figlia»

«Lo faccio per mia figlia Erica che soffre perché gli manca il padre. Il suo dolore è diventato il mio dolore e non mi fermerò finché non avremo giustizia». A parlare a MeridioNews è Alessandra Galeani, la ex moglie di Enrico Lombardo, che ha cominciato la sua battaglia alla ricerca della verità già a partire dalla notte del 26 ottobre del 2019. Quella in cui è morto, durante un intervenuto dei carabinieri, sul ciglio di un marciapiede a Spadafora il 42enne. Padre di tre figli, Lombardo lavorava in un supermercato del piccolo centro in provincia di Messina. Per la sua morte sono indagati tre sanitari – una medica e due soccorritori – per omicidio colposo e un carabiniere per morte come conseguenza di altro delitto (violenza privata). A più di due anni e mezzo di distanza, adesso è arrivata la seconda richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero. Ma i familiari si sono opposti. «Il gip aveva accolto parzialmente la nostra prima opposizione – spiega a MeridioNews l’avvocato Pietro Pollicino che li assiste – disponendo delle indagini aggiuntive. Di fronte a questa nuova richiesta del pm, chiediamo di fare ancora ulteriori accertamenti a partire proprio da indicazioni specifiche che abbiamo già fornito alla procura». 

Diversi sarebbero, infatti, i punti poco chiari della vicenda che inizia una sera di fine ottobre quando Lombardo va sotto la casa in cui la ex compagna vive insieme al fratello. Stando a quanto è stato ricostruito, ha un atteggiamento minaccioso quando bussa e urla per entrare. La donna – madre dei suoi due figli minori, con cui da poco la relazione si è interrotta – decide di chiamare le forze dell’ordine. I carabinieri arrivano, provano a calmarlo e chiamano un’ambulanza per un controllo. «Riferito stato di agitazione – riportano i sanitari – Paziente vigile e collaborante. Stato di nervosismo per problemi familiari». Sono le 23.30 quando Lombardo si allontana ma, circa due ore dopo, torna. La donna, spaventata, telefona di nuovo al numero unico di emergenza: «Sta ammazzando un carabiniere, lo capite o no? Mandate qualcuno». A morire, alla fine, invece sarà lui. Degli ultimi momenti di vita del 42enne esistono anche dei video girati con un cellulare proprio dal balcone dell’abitazione. Le immagini mostrano una colluttazione. Nel verbale si legge che c’è «il brigadiere claudicante e con una ferita alla gamba sinistra e graffi sulla parte destra della fronte; l’appuntato che sanguinava vistosamente dalla testa e dall’orecchio destro; Lombardo (già ammanettato e a terra, ndr) con una ferita sanguinante al capo». Per terra, accanto a lui, vistose macchie di sangue. «Guardando quei video e facendo un rapido calcolo – dice Galeani che era separata dall’uomo già da circa 12 anni ma non era divorziata – emerge che le manovre di contenimento di Enrico da parte dei carabinieri durano venti minuti». 

Un tempo lunghissimo durante il quale, mentre è bloccato a terra da tre militari, lui ripete «non mi interessa, non mi interessa», come fosse un mantra. Stando a quanto messo nero su bianco nel verbale, Lombardo si sarebbe ferito «battendo il capo contro una cabina della linea telefonica». Una ricostruzione che non convince il legale: «Quella cabina è fatta di plastica dura e dai risultati dell’autopsia – sottolinea Pollicino – non ci sono riscontri di questo materiale nelle ferite dell’uomo. Inoltre sulla cabina ci sono solo schizzi di sangue». Vistose macchie sono sul marciapiede e sull’asfalto della strada, tracce ci sarebbero anche sul manganello. Nelle fasi concitate della colluttazione arriva anche il comandante della stazione dei carabinieri di Spadafora che è in borghese perché libero dal servizio. Lui è l’unico militare a essere indagato. «Devi restare immobile», dice più volte uno dei carabinieri rivolto a Lombardo. Che poi resta immobile e, dopo un lamento, nemmeno la sua voce si sente più. Arrivano i soccorsi, uno dei soccorritori si avvicina e si abbassa vicino al corpo. I carabinieri restano su di lui, lo chiamano e lo scuotono ma niente. Arriva un’altra ambulanza con il medico a bordo, prova a fare le manovre rianimatorie con il defibrillatore ma è troppo tardi. Lombardo viene dichiarato morto alle 2.47.

Stando ai risultati dell’autopsia, Lombardo non sarebbe deceduto a causa delle ferite riportate «ma per quella che volgarmente viene chiamata morte improvvisa“», spiega l’avvocato Pollicino al nostro giornale. In pratica, un arresto cardio-circolatorio «nella fase – si legge nel documento del medico legale – di recupero post-stress di una prova da sforzo cardio-vascolare (di resistenza al contenimento-immobilizzazione da parte di operatori delle forze dell’ordine)». Per il consulente, a determinare il decesso sarebbero state diverse possibili concause tra cui «un’emorragia sub-aracnoidea per la rottura di uno dei rami collaterali-terminali dell’arteria cerebrale media in un soggetto in delirio agitato/eccitato affetto da miocardiopatia ipertrofica (un’ipertensione che non era mai stata diagnosticata in precedenza, ndr) e assuntore cronico di cocaina».

I cinque carabinieri coinvolti riportano ferite con prognosi fra i tre e i cinque giorni. Stando a quanto ci risulta finora, nessuno di loro – a eccezione del comandante – è stato mai iscritto nel registro degli indagati per la morte di Lombardo. I due soccorritori dell’ambulanza e la dottoressa arrivata dopo sono indagati per omicidio colposo per avere avuto «un comportamento colpevolmente inerte». «Io sono stata chiamata e informata solo nella mattinata dell’indomani – racconta Galeani al nostro giornale – e sono andata subito a vedere il posto dove tutto era avvenuto. Mi è sembrato strano trovare per terra diverse bottiglie d’acqua vuote». E c’è un audio che la donna ha registrato di nascosto in cui è un abitante della zona a raccontare di avere visto i carabinieri che lavavano per terra. «Quando Enrico è morto, mia figlia aveva da poco festeggiato i suoi diciotto anni – dice la donna che nella battaglia è affiancata anche dagli anziani genitori e dalla sorella dell’ex marito – Ora la sua camera è tempestata di foto del padre e non c’è giorno in cui non soffra per la sua assenza. Mi sono intestata questa battaglia per lei – conclude – perché è giusto che sappia come è morto suo padre».

Marta Silvestre

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