Il leader del partito Radicale è morto oggi, all'età di 86 anni. Nella sua lunga carriera politica, anche un'esperienza all'interno di palazzo degli Elefanti. Nel 1988 fu il secondo più votato. Dopo alcuni mesi rinunciò all'incarico ma, alle seguenti consultazioni, supportò la corsa a sindaco dell'attuale primo cittadino
Morte Pannella, il ricordo della sua stagione catanese Eletto in consiglio, sostenne prima elezione di Bianco
Non aveva smesso di fumare i suoi
sessanta sigari al giorno, nonostante gli fossero stati diagnosticati due tumori. Pochi giorni fa, prima di essere ricoverato in ospedale, Marco Pannella aveva spento, nella sua casa romana, ottantasei candeline. Uno dei personaggi più controversi della politica italiana: socialista, radicale, federalista europeo, gandhiano, anticlericale, antiproibizionista, e, soprattutto, maggior protagonista per l’approvazione delle leggi in favore del divorzio e dell’aborto. Padre delle battaglie civili per i suoi estimatori e personaggio inaffidabile per i suoi detrattori. Ma Marco Pannella, nel corso della sua lunga vita politica, è stato anche consigliere comunale in diverse città italiane, tra cui
Catania. È il 1988 e la città etnea è chiamata al rinnovo del Consiglio comunale. Venuto da Roma con tutto lo stato maggiore del partito Radicale, Pannella presenta la lista Per Catania Civica, Laica, Verde. Definita da Leonardo Sciascia l’unica novità delle elezioni. Con una campagna elettorale all’americana, fatta di incontri e strette di mano con i cittadini, cartelli appesi al collo e presentandosi come candidato anti-sistema, ottiene quasi l’otto per cento dei voti che permettono, alla sua lista, di entrare a Palazzo degli elefanti con ben cinque consiglieri.
Per il leader radicale è un plebiscito: con 12.346 preferenze si piazza secondo in assoluto, dietro solo al presidente regionale della Dc, Rino Nicolosi. Rimane cinque mesi in consiglio comunale. L’aveva sempre detto: sarebbe rimasto per tutto il mandato solo se fosse stato primo assoluto: votato da almeno il 20 per cento dei catanesi. E, da secondo, dunque, grazie e arrivederci. Naturalmente, Pannella è pienamente consapevole che il risultato ottenuto è stato straordinario, ma non può confinare la sua figura ai piedi dell’Etna. I 16.000 voti ottenuti dalla sua lista rappresentano un vero e proprio terremoto politico per la città di Catania. Dopo la vittoria al referendum sull’aborto, nel 1974, Pannella assesta, proprio nella città etnea, un altro colpo storico alla Balena Bianca.
Nel luglio del 1988 insieme a socialisti, comunisti, repubblicani, socialdemocratici e liberali dà vita a una coalizione che mette all’opposizione, per la prima volta nella storia della città, la Democrazia cristiana. Quella coalizione elegge come primo cittadino
Enzo Bianco, il primo sindaco non democristiano dal 1946. Una maggioranza durata solo pochi giorni, perché giunta e programma vengono bocciati dai franchi tiratori, costringendo il sindaco alle dimissioni. Ma, pochi mesi dopo, lo stesso Enzo Bianco torna a sedere sullo scranno più alto di Palazzo degli Elefanti, anche con il sostegno della Dc, ottenendo ben 48 voti su 52. Tra i 48 voti a favore di Bianco c’è anche la lista di Pannella che dichiara entusiasta: «Siamo stati noi per primi a volere un sindaco laico ed ora che anche la Dc è d’accordo non poteva certo mancare il nostro consenso».
Prima di lasciare Catania, Pannella affida ai
neo-consiglieri alcuni obiettivi precisi, come quello di spingere i catanesi a impegnarsi nella lotta federalista europea; a rivendicare la propria identità rispetto all’immagine presentata dai media; a dotare la città di una vera maggioranza e di una vera opposizione, a suo dire mancati fino a quel momento. Ma anche a lottare contro la criminalità in una città, che nel 1988, contava oltre 60 morti ammazzati nei primi otto mesi dell’anno. Certamente, a quasi trentanni da quelle elezioni che hanno cambiato il sistema politico catanese, molti dei problemi sollevati da Pannella sono rimasti insoluti. Ma bisogna riconoscere all’estroso leader radicale che, forse, pochi anni prima di Tangentopoli, aveva colto i primi scricchiolii di un sistema destinato a dissolversi.