Si è tenuta oggi nel tribunale di Siracusa l’ultima udienza, prima della requisitoria finale, del processo per la morte di Stefano Biondo, il 21enne siracusano disabile psichico morto il 25 gennaio del 2011 nella struttura dove era stato trasferito dopo tre anni trascorsi nel reparto di psichiatria dell’ospedale Umberto I. Unico imputato per omicidio colposo è l’infermiere dell’Asp8 di Siracusa, Giuseppe Alicata, accusato di aver soffocato Biondo con una manovra a tenaglia per fermare una delle sue crisi.
A essere ascoltati in aula oggi sono stati quattro teste della difesa: due operatori del servizio psichiatrico, una operatrice della struttura in servizio il pomeriggio in cui Stefano è morto e l’autista dell’ambulanza. In particolare, stando a quanto ricostruito dal legale che rappresenta la sorella di Biondo oggi presente in aula, gli infermieri hanno riferito che entrando nella stanza, quel pomeriggio, e vedendo Stefano già disteso a terra la prima cosa che hanno fatto è stata domandare a Licata se avesse già preso il polso carotideo, senza ricevere nessuna risposta. Da quanto hanno raccontato i presenti, l’imputato sarebbe rimasto fermo, immobile, come sotto shock, e non avrebbe provato ad aiutare il ragazzo. I due referti di autopsia parlano di morte per asfissia meccanica da soffocamento causata o dalla chiusura diretta di naso e bocca o dalla compressione della gabbia toracica.
«I colleghi dell’infermiere si sono passati una mano sulla coscienza – dichiara a MeridioNews Rosanna La Monica, sorella e tutrice di Stefano – e sono stati sinceri raccontando le dinamiche che hanno portato alla morte di mio fratello. Ci si poteva aspettare che portassero acqua al mulino della difesa e, invece, così non è stato. Anzi – afferma – hanno anche aggravato la posizione dell’imputato».
In memoria di Stefano, la sorella ha fondato l’associazione Astrea attraverso la quale continua a occuparsi delle persone in difficoltà, con un occhio particolare per la disabilità. «Oggi ricorre anche la giornata mondiale dei diritti per l’infanzia – ricorda La Monica – e ho visto un po’ come un segno questa boccata di giustizia che abbiamo avuto». Una richiesta di archiviazione del pubblico ministero rigettata dal giudice per le indagini preliminari, molti test smemorati, tanti rinvii e cambi di magistrati e pubblici ministeri hanno rallentato l’iter processuale ma «non ho mai smesso di cercare la giustizia con le unghie e con i denti e – conclude – sono felice oggi di riuscire a intravedere una luce in fondo al tunnel».
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