Palermo come Napoli, almeno a livello di esperienza amministrativa? È il confronto che da tempo si porta avanti tra due delle città simbolo del Meridione – simili per alcuni aspetti, diverse per molti altri. Ed è stato il tema del dibattito di martedì 20 alla libreria Garibaldi di via Paternostro: a partecipare ampie porzioni della sinistra in città, che sulle affinità e le divergenze tra le giunte di Leoluca Orlando e Luigi De Magistris si sono interrogate in vista della campagna elettorale alle porte.
A fare gli onori di casa il gestore del Garibaldi Davide Ficarra: «Da meno di un mese abbiamo riaperto la libreria, difficile da reggere dal punto di vista economico – ha detto -. La vittoria del No al referendum ci ha rincuorato, ed ecco perchè siamo qui in questo che è il primo incontro di una rassegna intitolata non a caso Il sole dell’avvenire. Noi non siamo mai stati un posto neutrale, vogliamo fare una ricerca militante per costruire una verità di parte».
Il primo di una serie di interventi, che ha dato gli spunti per quelli a venire, è stato di Eleonora De Majo. La consigliera comunale di Napoli, che viene dall’esperienza dei centri sociali partenopei e continua a farne parte, ha tracciato la genesi del legame anomalo tra la giunta e i collettivi:«Si usciva da una delle fasi più buie della città, quella della cosiddetta emergenza rifiuti. In quella fase lo Stato si è mostrato in tutte le forme coercitive possibili, quindi è venuta meno quella fiducia tra cittadini e istituzioni. Da lì è però scaturita anche la voglia di costruire risposte locali. De Magistris – ha continuato De Majo – si presentò con una coalizione sgangherata, con lo slogan della legaità che a mio parere può funzionare in una città mitteleuropea e non certo a Napoli o a Palermo. Il bello delle città ribelli è che ci sono i ribelli nelle città».
L’assessore alla Mobilità Giusto Catania è intervenuto «fuori dallo schema istituzionale – ha specificato -. Già nel 2011 ci ponevamo la questione se Palermo potesse essere come Napoli. Salvaguardare il carattere pubblico dei servizi è una delle grandi questioni internazionali. C’è da dire che a Napoli esiste ancora la classe operaia, a Palermo invece la coscienza di classe si è persa. Io dico che bisogna evitare che la democrazia sia uno spazio concesso».
Ha ribadito alcune perplessità Giorgio Martinico, dei centri sociali palermitani: «Se si sceglie di essere responsabili si diventa mediatori sociali – ha detto -. Per noi è fondamentale la decisionalità dei territori. Invece in questo modo dietro il sostegno elettorale si sceglie la strada della scorciatoia politica. Questa idea di replicare modelli è improduttiva, ogni territorio ha le sue specificità. Non devono cambiare gli assetti ma l’approccio».
Luca Casarini, no global vicentino trapiantato a Palermo, ha sottolineato come per lui «a Napoli c’è una buona amministrazione perchè sta nel conflitto, e poi c’è un buon governo, mentre a Palermo c’è solo il buon governo. Le istituzioni invece, come dice Deleuze, sono nemiche della norma perchè inglobano i conflitti. Poi sul tema dei rifiuti, che qui rimane fondamentale, devo aggiungere che secondo me sono un bene comune e come tali devono essere affrontati, ma al positivo».
Ha provato a spostare almeno in parte la traiettoria del dibattito Mariangela Di Gangi, presidente dell’associazione Zen insieme: «A me questa storia di Napoli ricorda il confronto con Tsipras, sembra che aspettiamo il buon esempio celato dall’alto. A Palermo le associazioni fanno quello che a Napoli e altrove fanno i centri sociali, in quartieri come lo Zen più che i ribelli citati da Eleonora ci sono i cattolici, coi quali personalmente trovo molti punti in comune nonostante le diversità ideologiche».
A chiudere il dibattito è stato Massimo Castiglia, di Sos Ballarò, il quale ha continuato i riferimenti ai quartieri: «Sempre più spesso sono gli incoscenti a fare, e gli incoscenti stanno fermi. È il conflitto che dà la partecipazione, noi in questo momento a Ballarò nella scelta di difendere il mercato storico siamo arrivati a scontrarci con le forze dell’ordine. Diciamo pure che il tram va verso i centri commerciali, che la mobilità così intesa porta fuori la città e distrugge l’appartenenza»
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