Da una parte barche a vela e yacht. Dall’altra piccole imbarcazioni di legno. In mezzo, gommoni e pescherecci. Sono tutti i mezzi usati dai trafficanti di uomini per trasportare i migranti dai loro paesi d’origine fino alle coste italiane. Tre metodi differenti usati da organizzazioni criminali che si rivolgono a persone di diverse nazionalità. È questo il quadro del business dell’immigrazione che emerge dagli sbarchi avvenuti in Sicilia nelle ultime settimane. Cambiano i modi, cambiano le tratte e cambiano, soprattutto, gli scafisti.
Il 13 giugno è approdata a Catania una nave della guardia costiera svedese. Che aveva soccorso, a largo dell’Isola, un veliero di 12 metri in buone condizioni, battente bandiera francese. Guidato, sembrerebbe, da tre cittadini ucraini, arrestati con l’accusa di essere membri dell’equipaggio. All’interno della barca su cui i tre viaggiavano erano nascoste, sottocoperta, 78 persone. Per lo più di nazionalità afghana e siriana. Secondo quanto si apprende da fonti investigative, lo scafo sarebbe partito dalla Turchia. Il dispositivo gps di bordo e i cellulari dei tre fermati sarebbero attualmente al vaglio degli inquirenti, che starebbero tentando di individuare il percorso che è stato seguito dai trafficanti. E che ancora non sarebbe stato definito.
«Il dato che evidenziamo è che l’obiettivo di queste imbarcazioni non è essere salvate dai mezzi di Frontex, bensì arrivare a destinazione», spiegano dalla Guardia di finanza etnea. Un elemento, questo della destinazione finale come obiettivo, che renderebbe «particolari» i viaggi che partono dalla Turchia rispetto a quelli che partono dalla Libia e dall’Egitto. «I barconi ai quali siamo abituati – dicono dalle fiamme gialle – aspettano i soccorsi dei natanti impegnati nelle attività internazionali di sorveglianza dei confini. È il modo che hanno per portare in Sicilia i migranti, che poi vengono accompagnati nei centri d’accoglienza». Un meccanismo che, secondo i magistrati, è collaudato da tempo.
Ma le organizzazioni criminali che organizzano i viaggi in partenza dalla Libia e composte per lo più da nordafricani non sarebbero le stesse che fanno partire spedizioni «di lusso» dalle coste turche. E che, invece, sembrerebbero essere gestite da cittadini provenienti dall’Europa dell’Est. I fermi avvenuti a Catania alcuni giorni fa confermerebbero quanto già avveniva da tempo a Ragusa. «I siriani possono pagare cifre più alte e garantirsi trasporti più confortevoli e più sicuri», spiega la polizia iblea. «Vengono usati molto gli yacht», aggiungono. L’ultimo di questi casi risalirebbe ad aprile. Anche in quell’occasione, gli uomini accusati di essere gli scafisti erano ucraini. E la base di partenza era la Turchia. Con un costo di circa «seimila, settemila dollari a testa».
Per viaggiare su barche di legno da una decina di posti, invece, di dollari ne bastano tra gli ottocento e i mille. A chiederli sarebbero gli scafisti che salpano dalla Tunisia, intenzionati ad approdare tra Marsala e Trapani. Un viaggio più breve verso la punta siciliana più vicina all’Africa. Il 6 giugno in 12 erano stati intercettati nel Canale di Sicilia, dopo che lo scafista tunisino aveva sbagliato rotta. Portandoli a largo di Ragusa invece che nel Trapanese. «Chi viene dalla Tunisia ci tiene a non essere fermato da Frontex. Loro sanno che non vengono portati nei centri di accoglienza e che, invece, vengono rimpatriati – dicono le forze dell’ordine ragusane – Per questo motivo gli accordi prevedono uno sbarco notturno, a seguito del quale darsi alla fuga a piedi».
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