L'operazione Tessa ha fatto luce su un'organizzazione criminale di cittadini eritrei che si arricchiva sulle spalle dei connazionali sbarcati negli ultimi mesi sulle coste siciliane. Centinaia di euro per raggiungere Roma, Milano e successivamente il Nord Europa. Una vicenda di cui tra gli eritrei catanesi già si parlava da tempo. «Quest'estate abbiamo liberato cinque persone che erano prigioniere in una casa a San Berillo. Ma le vittime non denunciano perché sono clandestini. La rete è ancora ben radicata e il traffico di esseri umani purtroppo continua», racconta Arefayne Beraki, uno dei portavoce della comunità
Migranti, rete di trafficanti tra Sicilia e Milano Catania una delle basi del gruppo di eritrei
Chiusi per giorni, segregati da connazionali senza scrupoli che cercavano di arricchirsi sulle spalle degli eritrei che scappavano dal loro Paese per raggiungere l’Europa. Ieri un’operazione delle squadre mobili di Catania e Siracusa, insieme al Servizio centrale operativo, ha fatto luce su una rete criminale di cittadini eritrei che operava nei due capoluoghi siciliani e a Milano. Sono scattati undici provvedimenti di misura cautelare, per tutti l’accusa è associazione per delinquere finalizzata alla permanenza irregolare sul territorio italiano ed europeo. Agli arresti domiciliari sono finiri Melake Andebrhan, 27 anni, e Angosom Resom, di 32, residenti a Siracusa e Yoel Tesfamechale, di 31, nella città lombarda. Per altri quattro è stato disposto l’obbligo di presentazione all’autorità giudiziaria, mentre altri quattro indagati sono irreperibili.
L’operazione, denominata Tessa, ha ricostruito un sistema di cui nella comunità eritrea catanese si parlava già da tempo: l’organizzazione criminale dava supporto logistico agli africani sbarcati sulle coste sud orientali della Sicilia negli ultimi mesi e scappati dai centri di prima accoglienza, spesso senza farsi identificare. Arrivati a Catania o a Siracusa, ai disperati venivano chieste importanti somme di denaro in cambio del proseguimento del viaggio fino a Milano. Nel capoluogo lombardo veniva pagata un’ulteriore rata per raggiungere il Nord Europa, meta finale per la maggior parte degli eritrei. A volte i malcapitati erano costretti a rimanere per giorni rinchiusi in appartamenti di fortuna, non avendo più soldi per pagare l’organizzazione criminale.
E’ successo a Catania la scorsa estate. A raccontarlo è Arefayne Beraki, uno dei punti di riferimento nella comunità eritrea etnea. «Ci era arrivata la voce che cinque connazionali erano prigionieri in una casa nel quartiere di San Berillo. Non avevano più soldi e aspettavano che dall’estero i parenti gli accreditassero nuovo denaro per pagare il trafficante. Volveva 150-200 euro per ogni persona, soltanto per arrivare a Roma». Beraki e altri eritrei, da molti anni residenti a Catania e ben integrati, decidono di agire e, individuata esattamente la casa-prigione, riescono a liberare i cinque. «Abbiamo avvertito la polizia, ma serviva la denuncia delle vittime. Quei ragazzi erano clandestini, hanno avuto paura e la mattina dopo se ne sono andati», sottolinea Beraki. Dei quattro indagati di ieri di cui sono stati diffusi i nomi per intero, uno, Melake Andebrhan, si era fatto una certa fama a Catania. «Sapevamo chi era, finalmente la polizia lo ha fermato, ma questi avvoltoi spuntano come i funghi. Noi facciamo quello che possiamo, cerchiamo di mettere pressione, ma ci ritroviamo con le mani legate quando si tratta di convincere le vittime a denunciare. Purtroppo l’operazione di ieri non basta, perché la rete è ancora ben radicata e il traffico di esseri umani a Catania e in Sicilia va avanti», conclude.
Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla procura di Siracusa, sono nate dopo il grande afflusso di migranti negli ultimi mesi: nel 2013 sono giunti in Sicilia 1.600 eritrei, che scappano da una situazione di continua tensione tra Eritrea ed Etiopia, sempre sul punto di sfociare in un conflitto vero e proprio.