Il 35enne eritreo arrestato in Sudan, individuato nell'ambito dell'operazione Glauco 2, era sempre riuscito a sfuggire alla cattura. Fondamentale la collaborazione tra forze di polizia europee. «Nella classifica dei criminali legati al traffico di esseri umani si colloca tra i primi tre». Guarda il video
Migranti, estradato in Italia il latitante Mered Medhane «Uno dei capi della tratta, si definiva il nuovo Gheddafi»
«Sono il più forte dell’organizzazione». Mered Yehdego Medhane, il trafficante di esseri umani eritreo di 35 anni arrestato in Sudan lo scorso 24 maggio e appena estradato in Italia, faceva spesso vanto del proprio potere. Si definiva il nuovo Gheddafi, e così come il leader libico si faceva chiamare il generale. Un ruolo di rispetto che si è conquistato anche grazie alla sua mancanza di considerazione delle vite umane dei migranti che dal Sudan faceva arrivare in Europa. Ad alcuni complici che al telefono gli comunicavano di avere caricato cinquecento migranti su un barcone rispondeva: «Io sono più bravo, ne metto altri cinquecento». Il suo nome è venuto fuori nell’ambito delle indagini che hanno portato alle operazioni Glauco e Glauco 2, ma è sempre sfuggito all’arresto. «Nella classifica dei criminali legati alla questione dei migranti – spiega Claudio Camilleri, uno dei pm palermitani che si occupano dell’inchiesta – si colloca tra i primi tre. Era latitante da tempo, ma siamo riusciti ad arrestarlo grazie alla cooperazione internazionale con la Nca inglese e le forze sudanesi, che ci ha consentito di individuarlo».
Un arresto inaspettato, almeno per Mered, che si riteneva inafferrabile, sicuro della fitta rete di collaboratori e contatti che ne copriva gli spostamenti. Un vero e proprio fantasma che si divideva tra la Libia, i Paesi centrafricani e quelli scandinavi e del Nord Europa. Era al vertice di un’organizzazione criminale che ha a disposizione un gran numero di armi, l’accesso a tecnologie avanzate e profitti enormi con cui corrompere anche funzionari e forze dell’ordine nei Paesi africani. In alcune intercettazioni Mered si vantava di essere riuscito a fare evadere dalle prigioni libiche gruppi di migranti grazie al pagamento di una tangente da 40 mila dollari. Migranti che poi venivano reclusi in alcuni magazzini di cui l’organizzazione disponeva a Tripoli, per essere rivenduti ai propri familiari in cambio di un riscatto.
«Si tratta di un risultato estremamente importante – dice il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi – ma questo non comporterà l’interruzione del traffico di migranti. Dimostra tuttavia che siamo nelle condizioni di potere individuare e assicurare alla giustizia i capi delle organizzazioni criminali che si occupano della tratta». Una tratta particolarmente redditizia. «In soli tre mesi, da giugno ad agosto 2014 – aggiunge il pm Geri Ferrara – sono stati diecimila i migranti fatti arrivare in Europa, con un ricavo che si aggira attorno ai 700 mila euro per ogni barcone». E il problema di come impiegare la mole di denaro incassata preoccupava non poco Mered, che progettava degli investimenti a Dubai, oltre che l’acquisto di una casa in Eritrea per poi recarsi in Svezia, dove vive la moglie.
È stato arrestato da solo, nell’abitazione di un conoscente. Non aveva armi addosso, ma solo del materiale informatico di cui la Procura di Palermo non è ancora entrata in possesso. «Abbiamo inviato al Sudan una rogatoria per ricevere gli originali o quanto meno le copie di questi dati» spiega ancora Lo Voi, che ha sottolineato l’importanza dello scambio di informazioni in tempo reale con le altre forze di polizia europee. «Solo così abbiamo convinto le autorità sudanesi a collaborare – continua – Questo apre una nuova strada e conferma l’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale su questi fenomeni. Senza la sinergia delle autorità di diversi Paesi non possiamo garantire risultati eccellenti come quello appena ottenuto». Più difficile, invece, avere riscontri con Stati come la Libia «dal precario equilibrio politico».