Micari, correnti e spaccature per il posto migliore Il disastro delle liste figlio di ambizioni personali

«La vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana». Probabilmente le parole di John Keats sono quelle che meglio descrivono il pasticciaccio della lista Micari a MessinaCosì come quello di Siracusa, dove i nominativi non sono stati nemmeno presentati. Un disastro che parte dalla maratona di 72 ore nel quartier generale di via Bentivegna, ma che affonda le sue radici in un pantano ben più profondo.

La candidatura di Fabrizio Micari non decolla, non convince, non entusiasma. Quando, poco più di un mese fa, si sono delineati i profili dei candidati in corsa per la prima poltrona di Palazzo d’Orleans, era chiaro a tutti che attorno al rettore sponsorizzato dal primo cittadino palermitano fossero più i mal di pancia che i salti di gioia.

Troppo tardi per virare su un altro nome, soprattutto alla luce del fatto che Matteo Renzi si era lasciato sedurre dall’idea di un campo largo che andasse dalla sinistra ai popolari, col ruolo centrale del Pd a fare da garante per la tenuta dell’alleanza politica. I primi a rifiutare l’offerta e andare avanti sono stati i partiti a sinistra del Pd, da Sinistra Italiana ad Articolo Uno, portandosi con sé quel valore aggiunto di civismo militante fatto di associazioni e movimenti.

Poi – e prima, e durante – l’interminabile valzer di Angelino Alfano, fortemente tentato dal favorito Musumeci, ma ancorato alle maggiori garanzie che i dem potevano offrire a livello nazionale, superiori a quelle messe sul piatto da Silvio Berlusconi. Creando all’interno della già esile Alternativa Popolare una spaccatura insanabile, che ha comportato lo spettacolo indecoroso dei transfughi attraverso i ponti d’oro costruiti dalla Micciché e associati.

Di mezzo, dalle parti della coalizione di centrosinistra, il ritornello era sempre lo stesso: «Vedrete che la forza dei due candidati si potrà misurare a liste chiuse». Ecco. Ora che le liste sono chiuse davvero, non resta che leccarsi le ferite dalle parti di via Bentivegna. E torna in mente, ancora una volta, l’immagine del venditore (e dell’ingenuo acquirente) della Fontana di Trevi. Leoluca Orlando, reduce dal flop del suo Arcipelago, è sempre più defilato dalla campagna elettorale e sempre più ancorato al suo ruolo di sindaco, mentre tra i big della politica regionale si fa semplicemente a gara ad accaparrarsi un posto a sala d’Ercole. Eccolo lì, il vero motivo per cui a Messina il Pd presenta la lista alle 15.55, mentre la lista di Micari arriva al photofinish, salvo incartarsi nel pasticcio delle carpette dello stesso colore. A quel punto è corsa contro il tempo, per recuperare i documenti in macchina e consegnarli. E quel tempo, alle 16.08, è già scaduto. È la burocrazia, bellezza.

Ma perché si arrivano a consegnare quelle liste a pochi minuti da una deadline nota da mesi ai funzionari di partito? Per quel posto al sole a sala d’Ercole di cui tutti sono a caccia. È il caso di Tani Isaja, dirigente del Pd di Messina, inizialmente candidato nella lista targata dem. Ma la lista Micari nella città sullo Stretto, l’unico collegio in cui Crocetta è riuscito a mettere il nome e la faccia, è più appetibile e garantisce maggiori probabilità di elezione. Così ecco che nella lunga notte di via Bentivegna parte il braccio di ferro tra Fausto Raciti, che non vuole indebolire la lista del Pd, e Davide Faraone, che caldeggia il trasloco di Isaja in casa Micari-Crocetta. Un braccio di ferro che avrebbe comportato anche, come racconta chi era presente, il sequestro di alcuni plichi, in assenza dei quali sarebbe stato impossibile presentare le liste il giorno successivo. Ci sono urla e pugni sbattuti sul tavolo, persino il candidato alla presidenza della Regione prende in considerazione l’ipotesi di tirarsi indietro e imboccare l’uscio.

La situazione, almeno su Palermo, si sblocca alle 15.19, quando i plichi lasciano via Bentivegna per raggiungere il Tribunale. Ma la tensione è ancora tutta lì e gli occhi restano puntati su Messina. A discuterne, sulle scale dell’edificio, sono il presidente del Pd siciliano, Giuseppe Bruno, e il senatore Beppe Lumia. Dove fino all’ultimo si litiga per la collocazione di Isaja. Alla fine – siamo alle 15.50 – il suo nome viene depennato dalla lista del Pd, per essere inserito in quella di Micari (sembrerebbe a insaputa dello stesso Raciti). Il resto è cronaca, fatta di liste ricusate, ricorsi e attesi pronunciamenti del Tar. La lista del Pd è dentro. Quella di Micari, con Isaja e Crocetta tra i candidati, resta fuori. Cronaca, appunto. Di un disastro annunciato.


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