Massoneria, porte aperte alla sede del Grande Oriente «In città siamo 600, cerchiamo l’armonia tra opposti»

«Orlando? Potrebbe essere un buon massone». La battuta circola all’interno della sede del Grande Oriente d’Italia, che ieri sera ha aperto le porte dei locali a Piazzetta Speciale nel giorno della fierezza massonica. A un anno esatto di distanza dal sequestro degli elenchi da parte della Commissione Antimafia sugli elenchi degli iscritti alle logge dal ’90 a oggi – in Calabria e Sicilia -, curiosi e giornalisti hanno potuto accedere, in gruppi da 20 e per un periodo limitato di mezz’ora, nelle stanze dove due volte al mese gli aderenti al Goi si riuniscono. Tra compassi, candelabri, templi e altri simboli esoterici


A fare gli onori di casa nel cuore dell’Albergheria proprio alcuni dei massoni palermitani, che così tentano di cacciar via le accuse sull’eccessiva riservatezza, al limite della segretezza, che la Commissione ha denunciato nella relazione dello scorso dicembre. E che, sempre secondo il gruppo parlamentare d’inchiesta diretto dalla presidente Rosy Bindi, avrebbe favorito le infiltrazioni della mafia nella massoneria. «Siamo 600 a Palermo – spiega un giovane iniziato -. Qui al Goi si riuniscono a turno 27 logge massoniche. Al contrario di quel che si pensa, tra i massoni non ci sono solo ricchi e potenti. La capitazione (la quota annuale che ogni Libero Muratore è tenuto a versare entro i tempi stabiliti o su richiesta del Fratello Tesoriere … ndr) costa soltanto 500 euro l’anno. Praticamente i soldi che si spendono per fare un abbonamento in palestra».

I simboli sono importantissimi: nel grande tempio, dove i fratelli si riuniscono in adunanza, non mancano infatti le tipiche colonne e il richiamo ai segni zodiacali, il tavolino con sopra la Bibbia cristiana e il candelabro ebraico poco distante, e poi la volta stellata e il pavimento geometrico che è una gigantesca scacchiera. Ma, simboli a parte, esiste qualcosa che per un massone ha anche più importanza: «Teniamo a una certa riservatezza», racconta Claudio Paterna, cultore di storia risorgimentale. Eppure, dice, «non siamo una società segreta. Qui non abbiamo nessun segreto, basta cercarci su Internet per trovare tutto quello che ci riguarda, compresi i riti che facciamo». 

Non si parla di politica e neanche di religione. E, assicurano tutti, neanche di affari. La massoneria è una «corrente iniziatica adogmatica», così la definisce chi ne fa parte, che nasce nel 1717 a Londra e che nei suoi circa 300 anni di storia ha accumulato non poche pagine buie, fatte di persecuzioni e prigionie nei campi di concentramenti a fianco degli ebrei, e di pregiudizi alimentati un po’ dall’alone di mistero che vi gravita intorno e un po’ dalle inchieste condotte dalla magistratura. 

Entrare a fare parte di una loggia, però, non è così semplice. Serve qualcuno che ti presenti. Qualcuno, in un certo senso, che garantisca per te e che rappresenti il tuo gancio iniziale con una realtà che ci si impegna a studiare, conoscere e condividere fino in fondo. «Coltivare l’appartenenza», per dirla con Paterna. Alla presentazione, infatti, segue un colloquio personale con l’aspirante massone, che dovrà portare con sé anche e soprattutto il casellario giudiziale e il calendario dei carichi pendenti, per dimostrare di non avere precedenti penali e condanne a macchiare la propria integrità di cittadino. Una scelta dovuta alla famosa inchiesta di Palmi, in Calabria, che aveva accertato gravi e ripetuti rapporti tra ‘ndragheta e massoneria. Insomma: una sorta di cinque stelle ante litteram. Così come l’iniziativa, ancora più recente, di poter richiedere direttamente l’iscrizione in massoneria tramite una semplice domanda online

Ma di cosa parlano esattamente i massoni? «Nelle nostre discussioni di loggia, che è la cellula vitale della massoneria, si coltivano idee e filosofie che normalmente nella società profana, cioè il mondo esterno, equivarrebbe a coltivare discipline normalmente considerate esoteriche ma che per noi sono un momento di crescita interiore – precisa ancora il cultore -. L’obiettivo è quello di creare un tempio all’interno di se stessi, fino ad arrivare alle verità più nascoste dell’universo. Ecco perché siamo stati sempre osteggiati, nel corso di questi 300 anni di storia». Libertà, uguaglianza, fratellanza: sono queste tre le parole che ritornano con insistenza, nei luoghi dedicati alle adunanze. Parole che, a sentire i massoni, nel tempo sono loro costate care: «La massoneria è invisa a qualsiasi regime totalitario perché proponiamo ideali di libertà», racconta anche Giuseppe Grigoli, responsabile della casa massonica di piazzetta Speciale e votato dai maestri venerabili come presidente.

«Lavora per il progresso dell’umanità, questo dice la massoneria, ma non è solo quello spirituale. C’è anche della beneficenza dietro in realtà, pur non essendo un’associazione filantropica. Non sono solo parole, insomma. Ci sporchiamo anche le mani. Il Rotary, volendo, è un figlio spurio della massoneria», torna a dire anche il giovane iniziato. «Promuovere la cultura della legalità eliminando la povertà». Ma la convinzione di avere questo tipo di responsabilità sulle spalle e l’imprescindibile distinzione tra chi è massone e chi non lo è, non rischia banalmente di creare un noi e un loro? «No – replica sicuro -. Siamo diversi nella misura in cui avendo ricevuto un’iniziazione e avendo approfondito certi studi e conoscenze, abbiamo una responsabilità sociale in più, degli strumenti superiori anche materiali che possiamo impiegare per tutti». Un tipo di responsabilità che impone, se appartieni alla massoneria, di denunciare al tribunale massonico un fratello che in pubblico ha sgarrato, che sia pronunciando per esempio delle frasi razziste o commettendo qualcosa di moralmente condannabile.

Del resto, i massoni sono in grado di riconoscersi fra loro, pur non appartenendo magari alla stessa loggia. Ci riescono attraverso dei piccoli segnali, dei gesti a cui l’altro risponde o meno. Un massone è infatti libero di non rivelarsi come tale, persino a un altro fratello. Ci sono, poi, persone e personaggi che massoni non sono ma che, secondo il giovane, hanno tutte le caratteristiche del caso per poterlo diventare: e snocciola i nomi di Alberto Angela ed Enrico Mentana, «tolleranti, senza precedenti suppongo, amanti dello studio». È questa la tipologia. 

«Il massone deve cercare un punto di incontro negli opposti, tra diverse vedute. La tolleranza è cercare di prendere il meglio da posizioni opposte e riconoscere dei valori comuni – continua -. Se sei ben intenzionato, trovi del bene in ogni cosa. Se vuoi fare le porcherie, riuscirai a farle in qualsiasi cosa. Il dovere della massoneria, come qualunque ente, è quello di vigilare sull’ingresso e sulla permanenza di chi ne fa parte. Se l’Ordine interno massonico riesce a fare questo, è riuscito allora a fare perfettamente il suo lavoro». Un compito, però, che a onor di cronaca non sempre pare si sia riusciti a realizzare. E il collegamento inevitabile con la P2, la loggia di Licio Gelli accusata dalla celebre commissione diretta dall’ex magistrato Tina Anselmi di aver cospirato per la destabilizzazione dello Stato italiano, viene tirato fuori non dai curiosi o dai giornalisti ma dagli stessi massoni. Come una ferita ancora aperta, che ha alimentato – e continua a farlo – sospetti e pregiudizi. 


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