S'è svolto venerdì scorso, nelle aule universitarie di via Gisira, un incontro alla scoperta della cultura di una delle più antiche tribù indigene dellAustralia, nell'ambito del Marranzano World Festival. La vita, le usanze, la musica di un popolo che fonda il suo credo sul rispetto della sacralità della terra e dell'esperienza degli anziani
Marranzano World Festival: la profondità delle tradizioni
«Un’occasione da sfruttare per conoscere più a fondo la cultura e il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. E’ fondamentale, di grande importanza culturale e di particolare interesse, cogliere l’occasione per dare la voce a questa tribù», così il prof. Alessandro Lutri, docente di antropologia culturale della facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania, ha presentato l’evento organizzato in occasione della 3° edizione del Marranzano World Festival, conclusosi domenica, che ha visto protagonisti i rappresentati di una tra le più antiche tribù aborigene australiane.
A partecipare all’incontro uno dei più importanti elementi del clan Galpu dell’etnia yolngu, proveniente da Arnhem Land, Australia, Djalu Gurruwiwi, custode e portatore della conoscenza e della cultura, nonché creatore e suonatore del particolare strumento musicale a fiato che li caratterizza, l’yidaki, composto da un lungo tronco d’albero lavorato che viene suonato con una tecnica chiamata “respirazione circolare”.
Antropologi, studenti, appassionati o semplici curiosi sono accorsi. Dopo una breve prefazione, in cui s’è sottolineata l’importanza di conoscere gli aspetti più profondi dei territori e s’è accennato alle prime importanti spedizioni antropologiche, risalenti all’inizio del 20° secolo, la parola è stata data alla sorella dell’anziano della tribù, Dhangal, che con molta simpatia e disponibilità, e con l’aiuto di Stefano Spoto per l’interpretazione e la traduzione, ha presentato gli Yolngu.
Popolo di tradizione corale, trasferisce la sua conoscenza nel corpo, quindi senza l’utilizzo di carta o pietra. In base alle terre di appartenenza, al linguaggio, al totem o alla filosofia, essi si suddividono in due categorie, Yirritja e Dhuwa, nelle quali sono circoscrivibili tutte le creature viventi. Nel caso dei figli, la categoria viene acquisita per diritto di nascita. Se il padre è Dhuwa, il figlio sarà lo stesso. Se il padre ha dei fratelli, essi saranno considerati padri allo stesso tempo, e lo stesso vale per la madre. Due della stessa categoria, per legge, non possono unirsi. «Tutto quello che abbiamo ora è quello che esisteva all’alba dei tempi. Sta a noi di prendere l’impegno di trasmettere alle generazioni future questa conoscenza. Ognuno di questi gruppi ha diritto di appartenenza alla terra, ed essa possiede ciò che di più sacro possiamo toccare», spiega Dhangal.
Parlando dell’yidaki, così antico che né la provenienza né il tempo di esistenza sono conosciuti, ne scopriamo l’importanza culturale e sacra. Esso si ispira al serpente arcobaleno, il totem che rappresenta la loro divinità e loro simbolo di distinzione dagli altri clan: «Chiunque può suonarlo ma per noi è importantissimo. Il serpente arcobaleno è connesso ad esso. Lo strumento fa parte di noi, non possiamo essere separati». Essendo di struttura sociale patriarcale, il privilegio di suonare l’yidaki è concesso solo agli uomini, in particolar modo all’anziano della tribù, cioè a colui che è stato scelto per essere il custode della conoscenza. Alle donne è permesso fare da accompagnamento con due legnetti. La tribù yolngu custodisce due yidaki, che rappresentano il vento dell’ovest e il fulmine e sono decorati ad hoc. Allo strumento e alle percussioni seguono i canti, in dialetto yolngu “matha”, che narrano della creazione della vita. Questi canti vengono spesso utilizzati per riti di iniziazione, per rievocare i legami dell’est e dell’ovest, figurati come creature ancestrali, e per ricordare la disciplina, la legge. Sono considerate cerimonie speciali quelle per i defunti, sia per l’inumazione che per la memoria: nei riti funebri i corpi vengono dipinti con gli stessi colori della tribù e, durante la cerimonia, alle donne non è concesso piangere individualmente, ma soltanto insieme, ballando in circolo.
«La forza di tramandare la tradizione», continua Dhangal, «è in chi la custodisce. Tocca a lui scegliere i suoi successori che, se rifiutassero l’incarico, diventerebbero i reietti della tribù».
Alla fine, dopo una breve performance di Djalu con l’yidaki, un piccolo spunto di riflessione comune, nonostante la distanza fisica e mentale che ci separa, arriva ancora da Dhangal: «Se anche voi avete degli anziani che conservano la vostra cultura non trascurateli…»